Da Andrea Orlando a Beppe Sala, i democratici cavalcano le disgrazie della Lombardia per insinuare che andava meglio quando la sanità era gestita da Roma. Non scherziamo.
Il supermercato Esselunga è o non è un servizio pubblico pur essendo una impresa privata? Lo è in tutta evidenza. Basti ricordare le file che si formavano davanti alle sue casse prima dello scoppio della pandemia. E le file che si formano adesso davanti alle sue entrate dopo l’imposizione della regola del “social distancing”.
Si potrà pur dire che le cassiere di Esselunga – piuttosto che di Coop, Lidl o Superconcas – svolgono un servizio pubblico per certi versi rischioso quanto quello svolto dagli operatori sanitari, visto che anche le cassiere stanno tutto il giorno a contatto con persone potenzialmente veicoli di infezione? Ovviamente sì. In una guerra le salmerie sono necessarie quanto le baionette.
Ora, dalla grande distribuzione passiamo a una grande funzione civile. L’ospedale privato Humanitas, abilitato alla funzione pubblica dal sistema sanitario – mix statale/privato – inventato in Regione Lombardia dall’oggi carcerato Roberto Formigoni (berlusconiano e ciellino) in collaborazione con menti libere e progressive di ogni colore politico; sistema che consente a ogni cittadino, sia esso lombardo o siciliano, di curarsi nell’istituto sanitario che più gli aggrada, sia esso statale o privato, nella massima libertà di scelta e senza alcun aggravio di costi, personali né per parte dello Stato, che, anzi, ha solo da risparmiare nella competizione nel campo dei servizi; dicevamo: l’ospedale Humanitas svolge o no un eccellentissimo servizio pubblico pur essendo una eccellentissima impresa privata?
Ancora. È un bel servizio pubblico da vedersi o dobbiamo maledirlo l’ospedale milanese San Raffaele, che In questi giorni ha il maggior numero di dimessi dalla terapia intensiva di tutti gli ospedali lombardi? Gli argomenti di Gino Strada non sono neanche da prendersi in considerazione. Perché non sono argomenti ma pregiudizi antichi. Risentimento ideologico che non regge i fatti. Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere neppure in casa propria (perché Emergency cos’è, se non un fenomeno di iniziativa e impresa privata?).
Apprezzabile è invece la riflessione che fa La Civiltà Cattolica e che gentilmente mi segnala il suo direttore Antonio Spadaro. Si tratta di un articolo in cui si critica apertamente il sistema occidentale e, in buona sostanza, si sostiene che il processo di “privatizzazione” della sua sanità è alla base della fragilità mostrata ad affrontare l’emergenza coronavirus. Tesi che non so se valga per il sistema americano. Certamente non vale per la sanità lombarda.
In secondo luogo: davvero l’organo dei gesuiti ritiene il ritorno in capo allo Stato, la “nazionalizzazione”, della sanità, una trovata all’altezza dei tempi, utile al miglioramento del servizio pubblico? Pensavo che i fallimenti dei modelli di “sanità nazionalizzata” che abbiamo conosciuto nell’Est europeo e in America latina avessero insegnato qualcosa. Sorprende che sia La Civiltà Cattolica – con la tradizione di cultura non napoleonica e invece sussidiaria che ha – a dimenticare perché non possiamo assolutamente identificare tout court lo statale con il pubblico.
Ma è il “canto” da Civetta di Minerva, simbolo di saggezza nell’antichità, che registriamo riemergere anche nei politici italiani al governo. Da Andrea Orlando a Beppe Sala. Che sono saliti sulla collina delle disgrazie della Lombardia per insinuare che andava meglio quando la sanità era gestita direttamente da Roma. Ovvero ai tempi in cui la Lombardia gestiva la spesa pubblica ospedaliera con l’efficienza (delle regioni del Sud e del Nord) dei rimborsi a piè di lista, i rossi fissi e i fallimenti ricorrenti puntualmente ripianati da Roma con le tasse di tutti gli italiani.
Con Formigoni la Lombardia – fine anni Novanta, mentre a Roma si registrava l’ennesimo fallimento del più grande ospedale statale italiano, il Policlinico, fatto poi ripartire con i soldi di Pantalone rastrellati per decreto legge dal governo D’Alema – a Milano inizia l’epoca virtuosa di un modello di sanità in pareggio. E con risultati eccezionali sul piano delle pratiche di ricerca e cura in ambito sanitario. Modello che ancora oggi funziona nonostante Formigoni sia stato incriminato, condannato e così si sia tentato di incriminare e condannare i governatori leghisti a seguire.
Non tutto è stato oro in quel che si è visto luccicare nella sanità lombarda. Ovvio anche questo. Però, al confronto di quello che succede a Roma. Ragazzi! Prova ne sia che nei giorni in cui l’epidemia di coronavirus inizia a manifestarsi in Italia in tutta la sua virulenza, il ministro Roberto Speranza sale in Lombardia e confessa in conferenza stampa (Speranza che è di Leu e non Gallera che è di Forza Italia): «Nella sfortuna siamo stati fortunati: meno male che è capitato in Lombardia dove la sanità funziona, non voglio pensare cosa sarebbe successo se fosse capitato al Sud».
Speranza è un dalemiano di vecchia data. Quindi un comunista dentro. Però non è che non ci vede e, almeno quel giorno di fine febbraio in cui venne a Milano, ringraziò dell’esistenza di un sistema sanitario in Italia a cui tutta Italia può rivolgersi con confidenza e fiducia. Semplicemente perché è un gran buon servizio pubblico.
Ma non occorre star qui a battere ulteriormente un chiodo che qualsiasi italiano conosce a menadito senza bisogno che gliela si conti su. Caso mai l’italiano qualunque avrebbe da chiedere a Andrea Orlando, novello Rosy Bindi che vorrebbe cancellare il modello lombardo e riportare tutto sotto l’ombrello statale: «Scusi ex ministro Orlando, ma perché non mettete tutte le Regioni d’Italia nelle condizioni di fare quello che fa la Lombardia? Perché io che sono del Sud e che ho una malattia seria devo andare a Milano? Perché non posso curarmi a casa mia, nella mia regione, e anche per una visita neurologica di un certo livello devo andare al Besta?».
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