C’è un’altra città, angoli destinati alla continuità dello spaccio, nel deserto delle strade, con i balconi che osservano impotenti. Il Dio del denaro facile e della droga continua a schiavizzare l’uomo, senza ripensamenti. Solitamente nordafricani, spesso ubriachi, incuranti del virus, in sfregio ai controlli: bivaccano in libertà, “lavorano” con totale menefreghismo. Hanno trasformato il quartiere di Porta Venezia come luogo ideale, usano giardini come latrine, praticano lo sport del trangugiare alcolici spesso da mattina a sera.
La località con sedi impensabili è anche un rifugio di clochard, un cartone, lo zainetto e un posto, possibilmente riservato. Porta Venezia “accoglie” la varia umanità di sbandati che si aggirava in piazza Duca D’Aosta e dintorni che sopravvive, infischiandosi delle restrizioni e dei pericoli di contagio. Una banda che ha imparato a far rispettare le sue leggi, che se ne frega della diffusione del contagio. Positivi tra loro? Non si sa. E allora una grande rabbia è legittima. E anche paura per un “cancro” che col tempo si è diffuso per l’indegna ingiustizia sociale e per un’accoglienza indiscriminata. E i blitz dei Carabinieri, racconta Libero, si moltiplicano, ma è quasi impossibile arginare il fenomeno.
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano