Testimonianza di un medico psicologo: dove è finita l’umanità?

Milano

In queste ultime settimane ho avuto diverse occasioni in cui il mio primo pensiero è stato “Ma dove è finita l’umanità?”. E con questa domanda non mi chiedevo dove fossero finiti gli uomini, anche se effettivamente il coronavirus sembra darsi molto da fare per eliminare esseri umani più o meno su tutto il suolo terrestre.

No, la domanda veniva dal mio cuore, e l’umanità è uno dei sentimenti, che però riguarda anche il cervello. Due sono stati le occasioni più importanti in cui non sono riuscita ad accettare quello che stava succedendo.

La prima riguarda il mio lavoro l’hotel di Milano dove sono ospitate molte persone dimesse dagli ospedali, che hanno avuto o hanno ancora il coronavirus, ma sono in via di guarigione. Fino a due giorni fa erano 188, ma via via saranno molte di più perché l’hotel ha una capienza molto grande.

Io e i colleghi della mia Associazione, ruotiamo a turno per garantire ogni giorno la nostra presenza. Analizziamo le cartelle cliniche che arrivano dagli ospedali e seguiamo i pazienti uno a uno, insieme ad altri operatori non medici.

Diamo le terapie adeguate, in genere già stabilite dagli ospedali, e parliamo al telefono con i pazienti, che sono in quarantena, chiusi ciascuno nella propria stanza. In alcune stanze ci sono anche delle mamme con un figlio.

E quando è necessario andiamo noi stessi a parlare con i pazienti, così riusciamo anche a vedere i loro visi, e loro vedono noi.

Quelli che mi hanno lasciato una tristissima impressione sono stati una donna del San Salvador ed un ragazzo, anche lui straniero. Dopo aver parlato con loro al telefono ho sentito che c’era qualcosa che non andava, al di là della malattia, così ho preso l’ascensore e sono andata a parlare direttamente con loro.

Hanno aperto la porta, io stavo nel corridoio e loro nella stanza. La donna piangeva e non riusciva quasi a parlare. Il suo problema era che sarebbe stata dimessa da lì a qualche giorno ma non aveva nessun posto dove andare.

La signora con la quale lei era stata nei nove mesi precedenti trascorsi in Italia non la voleva più, perché aveva paura. Il ragazzo di 28 anni non piangeva, ma aveva lo stesso problema: gli amici con i quali aveva vissuto nei mesi precedenti non lo volevano più.

E tutti due mi hanno chiesto di aiutarli. Come?

Ho provato a parlare con chi gestisce i centri di accoglienza, ma naturalmente nessuno li vuole, mi dicono tutti che non ci sono posti e che comunque il problema è sempre il coronavirus.

L’altro problema, più o meno simile, l’ho avuto oggi, quando sono andata a vedere due uomini con problemi fisici e psichici che vivono sotto i ponti.
Sono ufficialmente dei senza tetto e nonostante girino nella notte per Milano dei volontari di varie associazioni, in realtà loro e molti altri sono abbandonati a se stessi.

Uno di loro cerca disperatamente un luogo dove stare. È lì da soli tre giorni.
L’altro invece ha gravi problemi psichici e vive sotto una coperta in solitudine, da mesi. Mi sono chiesta perché nella nostra città così grande, bella, piena di vita, si possano lasciare degli esseri umani, sicuramente tutti con gravi problemi, abbandonati in questo modo.

È una domanda che mi faccio da anni, ma non ho mai trovato la risposta.

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