Non avendo la competenza specifica, non mi addentro mai nelle questioni tecniche dell’economia. Deve però dire che il fondo di Romano Prodi sul “Messaggero” mi ha sollecitato una riflessione apparentemente a latere, o meglio ha in me rinforzato una convinzione che mi sono fatto gradualmente in queste settimane di pandemia e isolamento. Ho individuato, detto altrimenti, in cosa consiste quel senso di insoddisfazione che sento nella discussione sulla “fase 2”, e che concerne non solo le misure decretate dal Presidente del Consiglio ma anche molte di quelle che emergono dalle critiche (spesso condivisibili) che esse ricevono da parte dell’opinione pubblica e dell’opposizione politica.
Si tratta di questo: dall’emergenza economica, ma direi anche da quella sanitaria, non si esce solo proponendo, o imponendo, una “ricetta a” piuttosto che “una ricetta b”, o viceversa: se ne esce avendo bene in mente una visione e chiari gli obiettivi che si vogliono perseguire. Si chiama cultura politica, ed è quella che ahimè latita in questi nostri tempi. Ammetto che la parola “piano”, usata da Prodi, non mi piace, ma è una idiosincrasia personale, da liberale, dovuta al ricordo che essa in me suscita dei “piani quinquennali” sovietici. Essa fa il paio con la parola “progetto”, che ricorda l’ingegneria sociale e tutti gli effetti nefasti ad essa connessa. “Programmazione” ricorda invece i tempi peggiori delle nostre partecipazioni statali, anche se ce ne furono all’inizio anche di buoni.
Però potremmo usare una parola meno compromessa, per nominare la cosa che ci sta a cuore: potremmo cioè parlare appunto di una “visione”, e dire che non si va da nessuna parte con le “ricette” ma che le “ricette” se vogliono avere un senso devono essere la conseguenza di essa. Ora, a dire il vero una visione mi sarei aspettato dai soloni chiamati nelle varie task force a supporto dell’azione governativa. Il fatto che abbiano scelto una strada, quella con rispetto parlando della “lista della spesa”, mi sembra, non vorrei esagerare, un ulteriore segno della decadenza non solo della nostra politica ma anche dei nostri studi, succubi di uno specialismo non consapevole di essere tale e cioè per definizione unilaterale. E che perciò stesso diventa perciò arrogante. Mai come in questo caso si capisce come la politica fatta per singole issues, cioè a spizzichi, non porti da nessuna parte. E che buttare l’acqua sporca dell’ideologia non significa fare a meno di ben solide idee guida. Se non facciamo fare questo salto alla discussione, credo che, anche se il virus scomparirà, come italiani non ne usciremo vivi
Blog Corrado Ocone filosofo liberale
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