Le imprese di Milano, Lodi e Monza in crisi: aiuti promessi non arrivano

Lombardia

Sono del tutto insufficienti le misure messe in campo finora a favore di imprese e Milano, lavoratori autonomi per far fronte all’emergenza Covid-19. La pensa così il 92% delle imprese delle province di Milano, Lodi, Monza e Brianza che sottolineano la sproporzione assoluta fra il danno economico subito dal lockdown e le risorse finora stanziate (e in moltissimi casi non ancora arrivate). Il 55% delle imprese del commercio, del turismo e dei servizi ha fatto ricorso alla cassa integrazione, in particolare nel comparto della ristorazione (70%), ma nel 95% dei casi i dipendenti non hanno ancora ricevuto i soldi. Sono alcuni che emergono dall’indagini condotta dalla Confcommercio di Milano, Lodi, Monza e Brianza sull’impatto economico che l’emergenza Coronavirus ha provocato alle imprese del terziario e sulle misure di sostegno necessarie per affrontare la Fase 2.

Secondo il sondaggio, tra i sostegni destinati alle imprese e ai lavoratori autonomi con i provvedimenti governativi (decreti Cura Italia e Liquidità) l’intervento finora più diffuso è stato il contributo Inps di 600 euro, indicato dal 91,5% degli intervistati. Quanto ai finanziamenti bancari, con particolare riferimento al prestito fino a 25mila euro con il 100% di garanzia dello Stato, il giudizio è molto critico sia sulle modalità che per i tempi di risposta degli istituti di credito: il 35,8% ha espresso un giudizio totalmente negativo, ma nel complesso l’80% giudica insufficiente la risposta delle banche. Sul fronte degli accorgimenti anti-contagio (distanziamento tra i clienti, dispositivi di protezione individuale e sanificazione degli ambienti lavorativi), l’82,3% delle aziende intervistate è pronto a garantire i livelli di sicurezza richiesti, percentuale che sale al 90,5% nel settore del commercio. Ma il 70,7% sostiene che le misure di prevenzione del contagio comporteranno maggiori costi in una situazione difficile che non consente di recuperare le perdite di ricavi accumulate nei mesi del lockdown. Particolarmente pessimisti (87,5%) gli operatori del comparto turistico e della ristorazione.

Si dichiara pronto a ripartire subito il 75% delle imprese del commercio e il 53% delle imprese di servizi e il 43% di quelle attive nella ristorazione. Nei servizi alla persona l’87% vuole riaprire non appena le norme lo consentiranno. Risultano invece pochissime le imprese che hanno intenzione di chiudere definitivamente: il 2% del campione. La chiusura definitiva è in particolare prospettata dagli asili nido privati (10%). “Dopo oltre due mesi di lockdown totale – dichiara il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, – la stragrande maggioranza delle imprese non ha ancora ricevuto gli aiuti promessi. Il problema è tanto più drammatico se si pensa che la Fase 2 sarà progressiva e sperimentale, dunque tutt’altro che in grado di permettere una ripartenza piena. Il che significa aziende e posti di lavoro realmente a rischio. I sostegni previsti dai vari decreti, oltre a non essere ancora arrivati alle imprese per via di tortuose procedure burocratiche, sono ancora insufficienti. Mancano infatti indennizzi e contributi a fondo perduto, una moratoria fiscale per il 2020 anche sul fronte dei tributi locali e aiuti per gli affitti commerciali. Ci aspetta un periodo ancora difficile e pieno di incognite. Per affrontarlo e ricostruire la fiducia servono misure chiare, certe ed efficaci. Ma servono subito per evitare danni sociali ed economici irreparabili”. (asklanews)

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