Premetto che non ho nulla di personale contro Alfonso Bonafede e Virginia Raggi, anche perché, per antica e démodé abitudine, distinguo sempre accuratamente il “peccato” dal “peccatore”. Essendo persino disposto a concedere a chiunque le attenuanti generiche del caso. Sono un “garantista”, anche in questo senso. Credo però che le vicende di cui è stato protagonista il ministro guardasigilli nelle ultime settimane, conclusesi con il respingimento della mozione di sfiducia nei suoi confronti presentata in parlamento dalle opposizioni, da una parte; e l’idea che è balenata di una possibile ricandidatura del sindaco capitolino, dall’altra, mostrino una tendenza pericolosa in atto nella nostra politica.
Si tratta, in sostanza, di questo: non c’è più nessun nesso plausibile fra ciò che la classe dirigente dice e fa e quella che è la sua carriera politica. Ovviamente, non siamo “anime belle” che pretendono una politica scevra dai rapporti di forza. Notiamo però che sul tavolo in cui essi vengono misurati, le azioni dei politici non contino praticamente più nulla. Nel periodo in cui Bonafede ha gestito il dicastero di via Arenula, è successo di tutto: un magistrato in prima fila nella lotta alla mafia ha accusato il ministro di agire cercando di non scontentare le cosche; i magistrati hanno cominciato a farsi guerra fra di loro a colpi di intercettazioni e ne è venuto fuori un quadro a dir poco raccapricciante; nelle carceri ci sono state rivolte con morti e feriti; mafiosi pericolosi sono stati fatti uscire dalle patrie galere, e ora si cerca goffamente di farli rientrare.
In altri tempi, il ministro avrebbe tolto dall’imbarazzo il governo e la sua stessa maggioranza e si sarebbe dimesso. Oggi, che la morale in politica non esiste più ma esiste il suo più ipocrita surrogato, il moralismo, queste buone pratiche non esistono più. Ma il fatto più preoccupante è che nemmeno la maggioranza ha avuto la forza di estrometterlo e Bonafede, di cui nessuno mette in dubbio la “buona fede” (che però non è una virtù politica), se ne è tornato tranquillo al suo posto. Che immagine danno di se stesse le nostre istituzioni, è facile intuirlo.
Una vicenda simile potrebbe prospettarsi a livello locale, con la ricandidatura di Virginia Raggi a sindaco di Roma, chiesta da una parte dei grillini per motivi di equilibri politici interni al Movimento. Già solo l’idea che un’idea del genere sia potuta venire in mente a qualcuno, facendosi anche strada, la dice lunga sulla situazione in cui siamo. Né forse c’è da fidarsi, visti i casi pregressi, dei politici che oggi si mostrano contrari, ma che, pur di salvaguardare gli equilibri politici, questa volta generali, sarebbero disposti, ne sono sicuro, a inghiottire anche questo boccone amaro.
Non occorre molta scienza per rendersi conto di come sia ridotta la nostra Capitale e dei guai aggiuntivi causati, per incapacità e superficialità, dall’ultima amministrazione. Anche qui, dovrebbe essere lo stesso sindaco a farsi da lato per rispetto di quegli elettori che a stragrande maggioranza, stanchi della vecchia politica, le avevano dato fiducia. Ma tant’è! Una sola considerazione finale: se la politica non ricomincia a selezionare seriamente la sua classe dirigente, se non riconquista credibilità, per la democrazia italiana non ci sarà davvero molta più speranza.
Blog Corrado Ocone
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