L’evidente renitenza con cui il premier Giuseppe Conte ha trattato il tema del dialogo con le opposizioni nel suo ultimo discorso suscita un sospetto piuttosto grave. E cioè quello che la maggioranza pensi di avvantaggiarsi di una nuova stagione di scontro frontale, nella quale potrà assumere il ruolo di “diga” contro rabbie e conflitti sociali che tutti prevedono per conquistare così il consenso dei moderati, di chi teme il caos, di chi dirà “il governo è inefficiente ma meglio la continuità che un salto nel buio”. Siamo, insomma, davanti a un doppio rischio. Sul versante dell’economia reale, c’è il pericolo che il tesoretto (non tanto –etto) messo a disposizione dall’Europa sia utilizzato a meri scopi assistenziali, seguendo una filosofia largamente maggioritaria sia nel Pd sia nel M5S. Sul versante politico, le porte chiuse alla collaborazione porteranno a una radicalizzazione dello scontro e faranno prevalere, anche nel Centrodestra, chi preferisce cavalcare l’ira degli esclusi piuttosto che alimentare la speranza. In questi giorni sono stati fatti autorevoli richiami allo spirito del ’46 e ai sentimenti che guidarono la ricostruzione post-bellica. La storia non si ripete mai, ma sono convinta che avrebbe largo consenso nel nostro Paese una politica capace di esprimere una stagione di “patriottismo condiviso”, che non significa confusione di ruoli tra maggioranza e opposizione, ma che è tutt’altra cosa sia rispetto al sovranismo muscolare che tenta la destra, sia rispetto al retorico riferimento ai valori costituzionali tipico delle sinistre.
Mai come adesso bisogna guardare all’Italia tutta intera: Nord e Sud, garantiti e non garantiti, uomini e donne, salariati e partite Iva, dipendenti e autonomi, studenti e pensionati. Mai come adesso le parole Repubblica e Patria potrebbero riacquistare un senso. La Patria è il luogo dove viviamo tutti, il solo spazio che abbiamo a disposizione per costruire il nostro benessere, e non ci sarà miglioramento se le risorse che improvvisamente ci ritroviamo in tasca saranno dissipate in un confuso conflitto anziché usate per produrre valore, aumentare la ricchezza e le opportunità collettive. Davvero Giuseppe Conte pensa che questo lavoro possa essere gestito ascoltando “parti sociali, associazioni di categoria e singole menti illuminate”, come ha detto nel suo intervento televisivo? Davvero crede che un tavolo di concertazione vecchio stile – perché è di questo che sta parlando – con i sindacati da una parte, le confederazioni datoriali dall’altra e qualche economista in mezzo possa produrre il tipo di visione e provvedimenti necessari a costruire la nuova stagione? Chi porterà a quel tavolo le paure, le ansie, le richieste dei milioni di italiani che da almeno un decennio sono esclusi da quel tipo di rappresentanza? Il nostro premier è un neofita della politica, e magari questo dato a lui sfugge: il tipo di consultazioni che ha immaginato darà ascolto solo a una parte del Paese e ne taglierà fuori una larghissima fetta, forse addirittura maggioritaria. Ma i partiti che lo sostengono, sicuramente Pd e M5S, sono senz’altro consapevoli della modestia dell’operazione e della sua “selettività”. È da qui che nasce il mio sospetto. È questo che mi fa temere che si sia scelta, deliberatamente, la strada dell’esclusione e dell’autarchia politica anziché quella del coinvolgimento delle forze politiche disponibili al confronto in base a un calcolo miope: un “autunno caldo” consentirebbe di ricacciare le opposizioni nel recinto degli impresentabili, degli indisponibili, delle teste calde che vogliono solo scatenare la piazza e distruggere. Spero non sia vero, che nei prossimi giorni questa sensazione sia smentita da fatti concreti. Non mi rassegno a credere che si giochi contro il Paese, contro la nostra Patria, contro la Repubblica, per un cinico calcolo di questo tipo.
Mara Carfagna deputato Forza Italia
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