II professor Giulio Sapelli, economista e storico dell’economia, saggista (è in libreria il suo ultimo libro 2020 Pandemia e Resurrezione, per le edizioni Guerini e Associati), ha sarcasticamente infilzato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte al termine di una delle più recenti esibizioni del premier davanti a telecamere e taccuini. L’intervista, con i passaggi fondamentali che riportiamo, è di Daniele Capezzone (La Verità).
Professore, lei, riferendosi a Conte, ha parlato di una via di mezzo tra Hollywood e Nicolae Ceausescu. (Sorride) «Sì, ma l’ho fatto con ironia, senza voler mancare di rispetto. Certo, nei telegiornali c’è sempre questa regia particolare delle sue apparizioni, degna appunto più di Ceausescu che di Leonid Breznev o Yuri Andropov: Conte che scrive, Conte che cammina, perfino Conte che scende velocemente le scale. Ecco, mi fa un po’ di tristezza che, mentre siamo ancora in una situazione di grande sofferenza per tanti cittadini, ci sia chi pensi a spettacolarizzare se stesso. Non mi pare una scelta di grande buon gusto». …Quando si è buttato in mezzo alla folla, la scorsa settimana, pensava forse che gli lanciassero petali di rose come accadeva a Wanda Osiris, e invece è salito il grido: «Buffone, tira fuori i soldi». Il premier è apparso scollegato dalla realtà. «Se le devo dire quello che penso di questo ceto di governo… Molti di loro non sono scollegati dalla realtà: il problema è che nella realtà non ci sono proprio mai stati. Tanti non iono nemmeno eletti. E guardi: l’elezione non è solo una questione costituzionale, ma ha a che fare con la formazione di una personalità politica, significa dover parlare con gli elettori. Oggi si svillaneggia il collegio: ma stare nel collegio, nel weekend, alla fine della settimana parlamentare, impone di mantenere un contatto con la realtà». Me lo dica sinceramente: ma questi da dove sono venuti? «Sono calati da una strana mongolfiera dov’erano vissuti. Nella sociologia francese si parla della “classe di sopra”, contrapposta a quella “di sotto”. E badi bene, non è una questione di censo, di ricchi contro poveChe impressione ha di questa kermesse degli Stati generali? «È una cosa preoccupante. Abbiamo discusso per anni sulla democrazia deliberativa, su come sia difficile passare dalla legge all’inveramento della legge nella realtà….Non hanno neanche chiaro il momento economico e sociale: ma come? Noi stiamo cercando… illusi di capire se la ripresa sarà a “V” oppure se sarà a “U”, la situazione è davvero drammatica, e questi fanno una settimana e oltre di confronto in questo modo?». Mi appello al suo senso delle istituzioni: ci sono le Camere, completamente scavalcate… «Ma certo, e io mi preoccupo in particolare per i giovani. Non vorrei che scambiassero queste cose per la democrazia parlamentare, e finissero per giungere a svillaneggiarla». E anche sul piano consultivo, ci sarebbe già il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, più 16 task force recentemente istituite… A che serviva questa ulteriore passerella? «Non c’è dubbio. Purtroppo qualcuno potrebbe pensare che la vera democrazia sia riunirsi in villa… Sfortunatamente quelli che io chiamo gli “imbecilli pubblicati” sono tantissimi: isterici, fanatici. Ora ci propongono anche un referendum, a cui io sono contrarissimo, per ridurre il numero dei parlamentari. E poi quel nome, gli “Stati generali”…».
Teme che non conoscano il precedente storico? … Abbiamo impiegato tre secoli a costruire la democrazia parlamentare, e proprio ora che ne avremmo bisogno, se ne accelera la crisi… Mi consola, pur tra tanti problemi, ciò che accade negli Stati Uniti: c’è il presidenzialismo, ma c’è anche il “balance of power”. Se le danno di santa ragione tra democratici e repubblicani, ma poi ad esempio sono tutti uniti rispetto al pericolo cinese». Andiamo alla sostanza. Conte immaginava di avere in mano una valanga di soldi europei e di potersi presentare come gran distributore di risorse. Ma la realtà è che daltUe per ora non arriva nulla. Bei e Sure stanno ancora raccogliendo le garanzie, il Recovery fund è sulle ginocchia di Giove… «Per ora non c’è nulla, e ci sarà molto poco: vedo che adesso lo riconosce anche Carlo Cottarelli… Vogliamo fare un confronto con le risorse stanziate dalla Germania? A volte mi chiedo se alcuni in Italia ci sono o ci fanno. E si tratta in qualche caso di persone titolate: non posso pensare siano degli sbadati… Ma era già successo ai tempi di Mario Monti, pensi a come avevano creato il problema degli esodati: erano fior di professori, ma ignoravano la reale dinamica tra Inps e aziende». Resta il Mes, con tutti i guai e i vincoli che conosciamo. Ma non sarà che per alcuni il Mes è diventato un fine, anziché un mezzo? Intendo dire che l’obiettivo per qualcuno (anche in Italia) sembra essere quello di metterci sotto un controllo esterno. «La risposta alla sua domanda è già nella storia. Perché Francia, Spagna, Portogallo e Grecia dicono “no” al Mes? Perché non vogliono essere sottoposti a controllo. Qui invece ci sono un ceto burocratico e quella che io chiamo “borghesia vendedora” che non vogliono cooperare con l’estero ma esserne dominati. Credono che l’Italia non ce la possa fare e si comportano di conseguenza». E invece viene incredibilmente sottovalutata la strada maestra, quella della Banca centrale europea, con emissioni di titoli nazionali. Strada che non comporta vincoli né condizionalità. E infatti sembra non piacere agli euroentusiasti di casa nostra… «Ci sono due linee opposte. Una linea Tremonti-Bazoli, e una linea contraria (purtroppo maggioritaria nel governo) che ci vuole consegnare al pilota automatico. Questi ultimi pensano che essere italiani sia una sfortuna: io sono convinto del contrario». Ma secondo lei il governo ha capito la bomba sociale che sta per esplodere, tra imprese che rischiano di chiudere e la prospettiva di un milione e mezzo di posti di lavoro in pericolo? «Se dessi una risposta positiva contraddirei l’assunto da cui è partita la nostra conversazione: stanno sulla mongolfiera. Certo, prima o poi anche le mongolfiere vengono giù, e qualcuno può farsi male… Quanto alla situazione economica, non credo a disordini sociali in autunno: temo piuttosto la depressione in senso tecnico, la malattia psichica. La gente morirà di fame chiusa in casa. Pensi che effetto devastante anche per i più giovani». Che farà la Germania alla fine? Sceglierà la via di KarIsruhe, cioè una sostanziale strada autonoma di disimpegno da questa Ue, o punterà ancora a fare dell’Europa il suo giardino di casa, con una volontà di egemonia e di «germanizzazione» dei paesi periferici? «In Germania si confrontano aspramente, e ormai anche pubblicamente, queste due ipotesi. A cui si aggiunge una terza opzione purtroppo sempre presente: una componente distruttiva, ben descritta da Thomas Mann nelle sue Considerazioni di un impolitico». Ma è possibile realizzare un contrappeso rispetto a questa egemonia teutonica? «È doveroso tentare. E mi fa piacere che ormai lo dicano anche persone lontanissime dal mio modo di vedere. Purché naturalmente l’alternativa non sia la Cina. Occorre lavorare insieme alla Francia, alla Spagna, che oggi forse non è più una ‘marca” tedesca, e anche lavorare sul terreno culturale con tante forze tedesche che comprendono il problema».
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