Magari fosse di sinistra. Magari fosse figlio della Troika. Magari fosse filo-tedesco o filo-cinese/venezuelano. Avrebbe in ogni caso una linea, una consistenza, un obbiettivo, sapremmo da cosa difenderci e come reagire. Ma il governo Conte Orfei, che ha piantato le sue tende a villa Doria Pamphili per lo spettacolo del Circo, dieci giorni come ogni circo, non è nulla di tutto questo. O meglio, è a turno tutto questo, un po’ l’uno un po’ l’altro, un po’ l’altro ancora. Quando c’è il numero degli acrobati, è figlio della Troika. Quando c’è il numero delle foche ammaestrate è di sinistra. Quando c’è il numero dei leoni è tedesco, quando si esibiscono le scimmie è cinese-venezuelano. Quando c’è il numero dei clown è se stesso, anche perché i clown fanno la caricatura di tutti gli altri numeri del circo; fanno un po’ i leoni e i domatori, un po’ le scimmie, un po’ gli acrobati, un po’ le foche ammaestrate. E hanno tutti il fazzoletto nel taschino da cui escono sorprese. Da tempo ero convinto che Giuseppi Conte fosse un nuovo personaggio interpretato da Alberto Sordi, che in occasione del suo centenario ha voluto donarci una parodia postuma: dopo il Marchese del Grillo, il professor Tersilli, Nando Moriconi, Mario Pio, il pizzardone, il tassista, lo sceicco, il magliaro e cento altri, è arrivato il Premier Conte che un po’ li sintetizza, un po’ li scavalca. I personaggi di Sordi sono sbruffoni, esibizionisti, spacconi, a volte hanno la pochette nel taschino, vendono fuffa, raggirano il prossimo, coglionano la gente e i lavoratori (famoso il gesto sordiano dell’ombrello); sono un po’ vigliacchi, fregnoni e pataccari, truffatori e prepotenti, traditori e opportunisti, servili, gagà e cicisbei, voltagabbana e fintoamericani, spacciatori di merce farlocca e hanno una sola ideologia, una sola fede, una sola priorità: il paraculismo. Sono paraculi. Tutto ruota intorno al loro deretano, in ogni senso. Ovvero tengono a una cosa sola: la loro pellaccia, pensano solo a galleggiare, a piantare i glutei, a farsi ‘na magnata, a papparsi ‘na stecca, la loro unica bandiera è la propria panza. Sono l’esagerazione dei difetti degli italiani: personaggi godibili al cinema, amabili nella ricreazione, ma insopportabili nella vita seria, disastrosi nelle tragedie vere e addirittura al vertice delle istituzioni.
L’altro giorno mi è capitato di vedere un suo film e di averne conferma: ho visto Un italiano in America, del 1967, diretto e interpretato da Alberto Sordi: lui va in America, lì lo chiamano tutti Giuseppi, una signora di colore a un certo punto gli prende il naso e gli dice: Ah, Giuseppi Giuseppi. Ho visto in quella scena Conte col suo naso a pipa, che di profilo si allunga a vista d’occhio… Giuseppi è nato lì, su quel set, in quella scena. Perché lui non è nato altrove, non viene dalla politica, non viene dalla gavetta, non viene dalle urne, non è nemmeno un tecnico, non viene da opere, studi e imprese memorabili; il suo curriculum, ricorderete, risultava taroccato. È nato lì, ciak, si gira, da una costola di Sordi, è un personaggio sordiano. E come Sordi assume le sembianze che occorrono per girare la scena, si fa filoamericano, filotedesco, filocinese, populista e tecnocratico, filosinistra come fu filosalviniano, grillino e della casta. Sono qui, per servirla. Già ai primi passi lo definimmo il Conte Zelig, assume le fattezze dell’interlocutore e ne fa il verso. Ma col tempo si è riempito di se stesso, si crede uno statista, si sente già nella storia. Passa da Sordi a Gassman, versione gradasso. Ha una sola priorità: Io. Un Io gonfio d’aria che manco Berlusconi, Renzi e Lady Gaga messi insieme. Chiedetemi tutto ma non fatemi dimettere. Sono disposto a tutto pur di restare Presidente for ever.
Per restare in ambito cinematografico Conte ci manda ogni giorno – soprattutto tramite il suo Giornale Luce, il Tg1 che è il megafono del regime – una valanga di trailer, ma il film intero non si vede. Ecco il promo di un film “Potenza di Fuoco”, ecco un altro “Vi riempiamo di Soldi”, un altro ancora “Gli Stati generali” sulla vita gloriosa del Re Sola e la sua Corte dei Conte. Protagonista unico lui: fa il Re, il Cancelliere, Sissi imperatrice… Una marea di trailer ma il film ancora non si vede. Si sa solo chi è il regista di questa ridicola menata: non è Fellini, De Sica o Monicelli, come ai tempi di Sordi, ma Rocco Casalino, figlio del reality da prendere sul serial. Le comiche di repertorio di Conte, mandate in onda dai tg, sono del genere lecchino-visionario, inaugurano il filone fantagovernativo. Conte spara miliardi e cazzate, spesso le due cose coincidono, gigioneggia nel suo linguaggio attorcigliato e cavernoso, finto-istituzionale; concede, promette, annuncia e si piace, come si piace: un continuo congratularsi con se stesso, fa il Fenomeno, dice che tutto il mondo ci invidia e ci imita (il premier). Joseph Conte’s superstar. Uno così si trova a governare l’Italia, da solo, giocando ai due forni in maggioranza, con due partner scimuniti e un paio di pupari ricattati, con una sovranità e una visibilità che manco un re o un dittatore, nel momento più delicato, più difficile della nostra storia. Capite perché sarebbe stato meglio avere di fronte un governo di sinistra o della troika piuttosto che niente? Il Niente di Governo fa paura, spalanca l’abisso. Uscendo dalla sala e dal circo, vorrei gridare: rimpiango la Politica. Quella vera, anche avversaria. La Politica, quella cosa modesta e potente, pratica e ideale, giudicata sui fatti e sulle idee: per anni hanno pensato che per avere più fatti dovessimo avere meno idee. Oggi vediamo che dove mancano le idee alla fine mancano pure i fatti. Perché se non hai alte motivazioni non fai niente, punti solo a pararti le chiappe, a non schiodarle dalla poltrona, a prendere per i fondelli il mondo, farti attivo, passivo o deponente pur di restare lì. Ma prima o poi arriva Il Rinculo. Dove finiscono le idee e non cominciano i fatti, là governano i Giuseppi.
Marcello Veneziani
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