“Perché la sinistra ha fallito?” mi chiede Italo Inglese che sta curando un libro collettaneo sul tema. Si riferisce al fallimento della sinistra sul piano sociale, al suo cedimento al liberismo, al suo voltafaccia rispetto ai proletari, al welfare e ai lavoratori che rappresentava. Come è noto, io di sinistra certo non sono, ma non condivido il presupposto di quella domanda e vi spiego perché. Lo spettacolo che abbiamo davanti agli occhi racconta piuttosto il fallimento generale della politica in cui è compreso il fallimento della sinistra. Ma è un fallimento più vasto che coinvolge anche altri soggetti politici e antipolitici. Lo dico guardando all’Italia e l’Europa. In Italia il fallimento ha la faccia di Conte, che rappresenta il grado zero della politica, in cui non c’è più né la politica né l’antipolitica né i tecnici. Al suo fianco il fallimento coinvolge tanto l’antipolitica del Movimento 5 Stelle quanto il partito democratico e i suoi alleati. Ma a quel fallimento non è estranea tutta la politica, che non esprime neanche su altri versanti – moderati, centristi o sovranisti – una credibile proposta alternativa di governo ma solo efficaci tribuni della plebe. Il discorso vale anche a livello europeo, dove il volto del fallimento della politica è quello della Merkel, di Macron, della van der Leyen, che di sinistra non sono. La politica non riesce a governare la società, i cambiamenti, le emergenze, non riesce a decidere, si nasconde ora dietro i medici, ora dietro gli scienziati, ora dietro gli economisti, anziché porsi come attivo raccordo tra questi campi, per poi produrre una sintesi efficace, in nome degli interessi generali. È succuba dell’economia e della tecnofinanza. In generale i leader di destra hanno più senso pratico, più aderenza alla realtà, maggior propensione alla decisione e più sintonia con i popoli. Ma la politica in generale è inclusa in quel fallimento radicale. Resta poi un paradosso che dura ormai da svariati anni.
La sinistra perde le elezioni ma poi viene sistematicamente ripescata in corso di legislatura, riprende il governo e mantiene il potere sottostante, nonostante sia una netta minoranza nel paese. Perché gode dell’appoggio dell’establishment interno e internazionale, compresi i media; si presenta come garante o longa manus dei poteri e delle istituzioni. Se il discorso si trasferisce sul piano culturale, il fallimento della sinistra ai miei occhi è piuttosto un trionfo. Sciagurato, ma un trionfo. La sinistra è oggi pensiero codificato, è mentalità dominante, la sinistra è la Chiesa del politicamente corretto, il vangelo dei mass media, il canone ideologico della società senza ideologie. L’egemonia culturale non esprime più idee ma resta un potere, una cupola di tipo mafioso. Quel codice ideologico non rispecchia il comune sentire della società, si oppone alla realtà della vita e dell’esperienza, rimarca il fossato tra oligarchie e popolo. Ma resta il Racconto Ufficiale a cui si conformano istituzioni, media e poteri. Si, su quelle basi non si fondano le società, semmai sprofondano. E l’effetto del politically correct è nefasto sulla vita dei popoli, la loro coesione, il loro rapporto con le cose che sono più vicine alla gente: la propria famiglia, la propria tradizione e religione, la propria città o nazione. Ma resta dominante. Qui cultura e politica coincidono: la sinistra appare lontana dal popolo, dai ceti proletari e dai lavoratori che un tempo costituivano il suo riferimento di lotta politica. Ma in questo caso più che di fallimento della sinistra, parlerei di tradimento. Però c’è un’importante novità che rimette in discussione l’assunto: la sinistra abbandona i poveri di casa nostra ma abbraccia i poveri del mondo, i migranti come nuovo proletariato.
E assume tratti pauperisti e perfino populisti che collimano con quelli del papato di Bergoglio. Qui si realizza la quadratura del cerchio: l’allineamento della sinistra ai poteri tecno-finanziari, il suo porsi come la guardia rossa del Capitale e dello spirito radical neoborghese ha bisogno di una copertura etica, di un alibi moralistico e la battaglia per i migranti concilia il disprezzo per ciò che è nostrano, la preferenza per ciò che è estraneo, lo sradicamento universale dei popoli e la ripresa del gergo egualitario. L’apertura a un mondo di migranti è congeniale al disegno globale del capitalismo (per dirla con un nome che per l’immaginario popolare indica questa tendenza, George Soros). E conferma che la sinistra omogenea al capitalismo globale è coerentemente allineata all’invasione globale. Attivando anche i suoi consueti serbatoi ideologici ed etici: le accuse di razzismo, di xenofobia, di nazifascismo tornante. Infatti il collante residuo in cui convergono il politically correct, la politica pro-migranti e l’allineamento ai poteri tecnofinanziari resta ancora la religione civile dell’antifascismo. Il nemico da battere è l’eterno fascismo, divenuto sintesi di populismo, sovranismo, nazionalismo, oscurantismo, dittatura e razzismo. In definitiva, è giusto dire che la sinistra ha fallito? Possiamo documentare i fallimenti della sinistra al governo, dimostrare l’impraticabilità dei suoi precetti ideologici, le ipocrisie irrealizzabili del suo moralismo. E possiamo aggiungere che nel mondo, a parte la Cina comunista, tutte le grandi democrazie hanno scelto leader che si opponevano alle sinistre e al disegno egemonico global. Ma il fallimento della sinistra è dentro il fallimento generale della politica, arresa all’economia e ai tecnici; e perdura la sua egemonia culturale. Allo stato attuale la sinistra è ingrillita, ovvero è nascosta dietro il grillo-contismo a cui si è aggrappata per sopravvivere al potere ed evitare i verdetti elettorali. Ma la sinistra non ha fallito: ha “solo” divorziato dalla realtà, dai popoli e dal bene comune, ma questo è nella sua indole o dna. La sinistra si realizza fallendo.
Marcello Veneziani
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