Corrado Ocone “Sei idee per far ripartire davvero il sistema dell’istruzione”

Attualità

In queste settimane si parla molto di scuola, università e istruzione, temi che costituiscono solitamente il “gran rimosso” del dibattito pubblico italiano. Si discute soprattuto di come far ripartire le lezioni in sicurezza, e si fantastica anche di nuovi modelli didattici, di “scuola del futuro” e varie amenità del genere. Confondendo in maniera ingenua quelli che sono i nuovi supporti tecnologici all’istruzione coi fini della stessa. Credo che però si continui a rifuggire da quello che è, a mio avviso, il vero problema della scuola e dell’università italiane: i contenuti. E, in conseguenza, i criteri in base a cui selezionare i più bravi, e in prospettiva la futura classe dirigente del Paese. Provo qui a sintetizzare alcuni punti delle idee che mi sono fatto in proposito:

  1. Bisogna distinguere nettamente i processi formativi da quelli professionalizzanti. Detto altrimenti, l’istruzione deve, in primo luogo, offrire strumenti formativi; in secondo luogo, e in separata sede, deve preparare alla vita lavorativa e rispondere alle “esigenze del merato”. Le qual sono giuste e non procastinabili in un’ottica di crescita e sviluppo del Paese.
  2. Gli strumenti formativi devono essere di due tipi: metodologici e contenutistici. Dal punto di vista metodologico, l’istruzione ha come obiettivo quello di far sì che chi ne usufruisce sappia ragionare e abbia spirito critico, capacità di sintesi e rigore intellettuale.

Dal punto di vista contenutistico, bisogna insistere invece sul fatto che nessuna alternativa è credibile rispetto a quella offertaci dalla tradizione: lo studio della cultura classica, e anche di quella contemporanea ma solo quando e nella misura in cui mostra le potenzialità di assurgere un giorno alla dimensione della classicità. Manuali scolastici ove l’ultimo scrittore di moda ha lo stesso spazio di Manzoni o Cervantes, sono a mio avviso diseducativi. Senza senso delle proporzioni e senso storico si allevano “ignoranti attivi”, come quelli che spesso incontriamo dalle nostre parti.

  1. Imparare a ragionare e sviluppare lo spirito critico significa sviluppare il dia-leghein, come lo chiamavano i greci: la capacità di confrontare, legare, distinguere, giudicare. Il compito dei docenti è di stimolare lo sviluppo di questa capacità, che è però assolutamente individuale: come la levatrice devono farle venire fuori (è significato della maieutica di Socrate, che figlio di una levatrice era per davvero).

I piani formativi non possono perciò dare soluzioni preconfezionate, nemmeno da un punto di vista etico, ma devono essere in grado di garantire un pluralismo effettivo delle idee e delle opinioni. Resta cioè valido, a un secolo di distanza, il monito weberiano: dalla cattedra non si professano opinioni politiche. Detto per inciso, il segno della decadenza delle grandi istituzioni formative occidentali, è dato proprio dal predominio, particolarmente visibile nelle università anglosassoni, di fini etico-ideologici, dalla cancellazione della storia all’ambientalismo acritico per intenderci.

  1. Sarebbe opportuno dare questo tpo di insegnamento, avalutativo e basato sulla cultura classica, a tutti a livello scolastico, e poi soprattutto agli studenti delle humanities, cioè delle discipline umanistiche, livello universitario.
  2. 5. Agli studenti universitari che hanno scelto discipline hard, dalle scienze fisiche e naturali a quelle pratico-ingegneristiche, e che si presume abbiano già acquisito l’indispensabile formazione classica a livello preuniversitario, va invece data una educazione tecnica specifica, senza fantasticare di interdisciplinarietà e commistioni varie.

Essi devono acquisire competenze, appunto, skills come si dice in inglese, che è cosa diversa dalla cultura, se per cultura intendiamo quello che con tale nome si è inteso in Occidente per più di duemilcinquecento anni (e mi sembra con buoni risultati). Quando, giustamente, si insiste sul ritardo dell’Italia, sullo scarso numero di laureati da noi “sfornati” rispetto agli altri Paesi, anche quelli meno avanzati, è a questo tipo di deficit che si fa riferimento.

  1. Come corollario a tutto questo, credo che la valutazione e la meritocrazia siano elementi importanti, e nessuno che operi nel mondo della scuola e della università deve a essi sottrarsi. Ma, per la parte relativa all’aspetto formativo e culturale, la valutazione non può avvenire assolutamente attraverso test o sistemi in vario modo “quantitativi” (la critica ai test INVALSI non avviene mai su questo punto specifico). La cultura è capacità di sintesi, e il sapere, che non coincide con il possesso di conoscenze tecniche, non è né parcellizzabile secondo una deleteria mentalità oggettivante né può disgiungersi da una valutazione dell’intera personalità dello studente.

La quale non può avvenire che attraverso la mediazione del docente, il quale non è la pedina di un ingranaggio o del “sistema”, non deve seguire procedure o protocolli, ma è un uomo ben formato e ben agente per acclarata evidenza. Che poi questi docenti più non esistano, o che siano demotivati e poco attivi, è un problema generale di cui solo una “grande politica” potrebbe farsi carico.

Blog Corrado Ocone  filosofo liberale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Moderazione dei commenti attiva. Il tuo commento non apparirà immediatamente.

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.