l rapporto Istat 2020, che è stato presentato nella mattinata del 3 luglio, mostra una fotografia del mondo del lavoro in cui crescono le disuguaglianze a livello territoriale, generazionale e per titolo di studio, rispetto al 2008. La nuova pubblicazione illustrata dal presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo non si limita a fornire la produzione tradizionale di statistiche ma aggiunge informazioni dettagliate relative a famiglie ed imprese. La mobilità sociale, le disuguaglianze di genere e generazionali e l’evoluzione del mercato del lavoro sono particolarmente importanti per comprendere il tessuto colpito dalla crisi legata all’emergenza epidemiologica. In apertura si sottolinea che: “La pandemia da COVID-19 si è innestata su una situazione sociale caratterizzata da forti disuguaglianze, più ampie di quelle esistenti al momento della crisi del 2008-2009.” La classe sociale influisce sulle opportunità degli individui. Per la generazione più giovane tale evoluzione non ha portato effetti positivi in quanto è stata accompagnata da un downgrading della collocazione e della diminuzione delle probabilità di ascesa sociale. In altre parole sono stati fatti dei passi indietro. Il rapporto rende noto che il mercato del lavoro mostra un aumento delle diseguaglianze territoriali, generazionali e legate al titolo di studio rispetto all’anno 2008.
La riduzione delle disuguaglianze di genere, dato apparentemente positivo, sarebbe invece collegato principalmente al peggioramento della situazione occupazionale degli uomini. Le categorie che risentono maggiormente della bassa qualità del lavoro sono le donne, i giovani e i lavoratori del Mezzogiorno.
Per queste categorie si riscontrano:
- retribuzioni inferiori alla media;
- elevati rischi di perdita del lavoro;
- alto livello di segregazione occupazionale.
Il lavoro irregolare è un altro tema su cui i dati sono tutt’altro che positivi. Il rapporto sottolinea che: “Il numero di famiglie coinvolte è elevato: si stima che siano circa 2,1 milioni quelle che hanno almeno un occupato irregolare – oltre 6 milioni di individui, pari al 10 per cento della popolazione – e che ben la metà di esse includa esclusivamente occupati non regolari.”
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