Il decreto semplificazione è una perfetta complicazione per decidere di non decidere. Una realtà virtuale di un decreto “salvo intese” che non c’è, realtà appoggiata a 48 articoli: le venti pagine di quel che in termini tecnici si chiama “Spieghe del decreto semplificazione consolidato” altre bozze e le oltre dieci pagine di comunicato stampa rilasciato questa mattina qualche minuto prima delle 7. Ma quel che riveste la realtà virtuale del Presidente e del Governo è la conferenza stampa andata in rappresentazione: uno spettacolo assolutamente da non perdere per vedere come l’esecutivo in carica vende entusiasticamente alla Nazione la “madre di tutte le riforme”. Esplicito nel “Langage”, nell’uso della parola e di come ognuna segue l’altra, nella quantità di segni esposti consciamente e non, a conferma di una comunicazione – quella populista in senso non positivo – con toni sorridenti che ricordano il madurismo; rivoluzioni e norme rivoluzionarie, coraggio, strade tortuose e non poteva mancare “abbiamo un sogno”. Insomma tanti “suoni” ma poco contenuto concretamente realizzabile. Come per il decreto aprile – e siamo a luglio – diamo tempo al Presidente. In fondo è chiaro a tutti che lui e il suo gruppo si stanno impegnando a fondo, sino a farci sapere quanto poco abbiano dormito questa notte, impegnati per il futuro del Paese.
D’istinto, la sensazione che forma la sintesi è un tentativo di riempire a parole e diapositive spazi vuoti di azione e dialettica e che vuoti rimangono: sommessamente – e lo dico per fatti concludenti – l’esecutivo e i suoi componenti – purtroppo per noi cittadini comuni – non hanno grande visione né capacità d’azione tempestiva o anticipatoria. Il decreto invece che seguire per semplificare il percorso della decentralizzazione e del localismo – che è concetto chiave ed ha nel Ponte di Genova il risultato concreto – si occupa di una quantità di azioni che si moltiplicano in maniera esponenziale nel leggerle e nell’ascoltarle e che fanno tutte riferimento alla Presidenza del Consiglio. Visti i casi concreti di questi mesi, il buon senso, visione e pratica di gestione dovrebbero indirizzare ad una libertà di azione diffusa dove il centro recepisce ed è appunto solo sintesi. Certo è che l’ostacolo in questa visione organizzativa è la qualità mediana dei decisori pubblici sul territorio. Forse si sarebbe potuto esser meno defocalizzati e limitarsi alla realtà del fattibile considerando le risorse disponibili vis à la loro qualità e al nodo della cultura burocratica impossibile da modificare in un attimo. Chiunque abbia gestito una azienda che sia un bar o una multinazionale se ne rende conto.
C’è di tutto nel decreto. Senza andare articolo per articolo: investimenti pubblici in opere strategiche, alta velocità per diminuire il divario tra nord e sud, dighe, edilizia privata, procedure e processi amministrativi , riconoscimento della responsabilità sul danno erariale in capo ai funzionari pubblici riconosciuta solo se c’è dolo ( ma le leggi che normano già ci sono), abuso d’ufficio, digitalizzazione “totale” del paese, reti e servizi di comunicazione, lotta alle infiltrazioni mafiose, Cipe, Valutazione di Impatto ambientale, dissesto idrogeologico, reti energetiche, ricapitalizzazione di società, autorità del sistema portuale , un sistema di controllo per il commissariamento degli interventi infrastrutturali e altro. Un ribaltamento del concetto di lavoro dei funzionari pubblici: paga chi non agisce. Il che mi sembra ottimo, posto che è la norma nel privato, ma non modifichi cultura, abitudini e procedure stratificate da decenni in pochi anni. Bisognerà aspettare una generazione di nuovi di amministratori per far crescere una mentalità diversa.
Fabrizio Jorio Fili (blog Nicola Porro)
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845