L’accademia plaudiva allo smartworking. Il business digitale ovviamente sosteneva il plauso. Si intravvedeva un’altra di quelle occasioni che il pulviscolo di aziende informatiche insegue sempre come occasioni ghiotte. Come il passaggio all’anno 2000 (millenium bug o Y2K) dei sistemi, un business da 300 miliardi di dollari del ’99 (34 per l’Italia), in cui anche Telecom inviò bollette datate 1900. Cui seguì il passaggio all’euro. Poi la fattura elettronica, mille euro a piccola impresa, e da ultimo il GDPR che secondo Confesercenti costa alle imprese 2 miliardi (200 milioni per Idc). In attesa del bug Y2038 che colpirà i sistemi Unix. Anche lo smart costituisce una golosa occasione di business.
Per il restio mondo imprenditoriale, l’acquisto di hardware e software, nonché dei relativi servizi, si limiterebbe a ben poca cosa se non ci fossero questi mercati captive cui l’utente impresa è costretto ad accedere e non uscire senza comprare. Per l’impresa acquirente lo smartworking si scompone in parecchie forniture, a partire da un notevole numero di cellulari e notebook con relativi contratti di connessione e di software da distribuire ai dipendenti (tutte cose in ammortamento da detrarre dagli utili tassabili). Deve poi rivedere i sistemi aziendali per l’utilizzo sui diversi device; ne deve rivedere la sicurezza in entrata, in uscita, periferica e centrale; e deve acquistare le diverse sicurezze perché i dipendenti utilizzino i dati su sistemi non nati per il dialogo diretto, facendoli viaggiare su diversi strati diversamente sicurati di rete, un po’ aziendale, un po’ su rete terza. La carota dell’offerta promette l’eliminazione di postazioni fisse, se non di sedi e parcheggi con relativi affitti e vendite immobiliari; la chiusura di utenze gas acqua e luce e l’eliminazione di mense e buoni pasto. Una riduzione dei costi fisici del 30% ed un risparmio di ca. 10mila euro per lavoratore l’anno, cui si aggiungerebbero la riduzione del 20% dell’assenteismo e l’aumento della produttività del 15% (Telework Research Network). Per l’Osservatorio di Milano anche l’aumento del rispetto delle deadline del 4,5% e la concentrazione dell’8%.Al contrario sul lavoratore smarter si abbatte l’aumento del 30% di bolletta elettrica e del 22% di gas (32% in entrambi i casi per le famiglie). Le previsioni, un po’ ottimistiche, dicono che il 77% delle imprese spenderà in notebook, tablet, smartphone con Sim aziendale e sistemi di condivisione della rete per i dipendenti e che il restante 23% si affiderà a consulenti esternie ad associazioni di rappresentanza
Poi c’è la formazione. Soprattutto l’azienda, e qui viene l’acquolina in bocca agli uni e si intensifica il mal di testa per gli altri, deve spendere in formazione. Non c’è libro, non c’è studio, non c’è ricerca, non c’è sondaggio che non si concluda con l’incitamento alla formazione. Cambiamenti, produttività, problemi femminili; per tutto c’è la soluzione, vera panacea, la formazione. Favorire la crescita dei modelli organizzativi, con una forte spinta sulla formazione, dice Fondirigenti. A seguito del sondaggio ricerca espletato, conclude su l’utilità della formazione sul lavoro agile e già che c’è ci mette a contorno temi tanto vasti da non dire nulla, come management, gestione personale e digitalizzazione dei processi aziendali.
La formazione sul lavoro da remoto è una miniera infinita, trattando delle diverse sicurezze, che rendono nevrotici accesso e permanenza nei sistemi; in genere la formazione non tratta mai il lavoro in sé che in fondo è rimasto quello di prima ma come districarsi dall’avantindrè che tocca fare tra i diversi software per poter arrivare a compierlo. Occorre però implementare la formazione, anche quella dei manager che devono guidare il processo. Va da sé che tutta questa formazione per non scontentare e denigrare nessuno debba essere impartita distintamente ai diversi livelli presenti nei libri matricola. Per cui corsi per dirigenti per le nuove competenze manageriali, corsi per quadri per semi competenze manageriali, corsi per intermedi per competenzine manageriali. Interrogate 800 imprese sul valore della formazione, la risposta è stata mezza positiva, soprattutto su cyber security e digitalizzazione. Fare formazione ed esercitare i nuovi skill; impiegare gli skill per formarsi. Come dire prega e spera; spera e prega. …saper usare le tecnologie, i device, gli applicativi.
I nuovi skill, in sostanza, si riducono all’uso della posta elettronica; a inviare testi vuoi di progetto che di relazione, a videochiamare o partecipare a telefonate collettive; a implementare, uscendovi ed entrandovi, diversi e sempre più numerosi software. Attività svolte dalla stragrande maggioranza degli utenti sul lavoro da decenni ed in modo più smart nei propri spazi privati intuitivamente e senza bisogno di alcuna formazione. Nei fatti il nuovo smart si è tradotto nell’applicare i metodi già sperimentati nel privato alle attività di lavoro. Quest’ultimo è rimasto identico nei contenuti e nell’organizzazione. Lo smart è stato l’ennesimo tappeto informatico che copre e si conforma al vecchio mobilio senza apportare il proprio senso logico; certo alla luce della distanza e dell’efficacia sono morti da sé alcuni passaggi, alcuni giri di carte che sopravvivevano a se stessi in funzione del dare un senso alle lunghe catene di comando. Per una semplificazione, come dire giunta dal basso, la grande azienda ha subito reagito con l’esplosione del numero dei software, risvolto indotto e pavloviano, subito politicamente dalle imprese e fatto subire ai dipendenti. A questi ultimi si sono aperte ed imposte una cento mille vie di comunicazione e messaging, il paraskype, il paragoogle, il paracisco, i due tre windows (parafacebook e parasocial), audio e video, con allegati, con lavoro comune sugli allegati, ecc. Tutte sempre ridondantemente duplicate nella versione web ed in quella android da cellulare con l’invito aziendale a scaricare per ogni cosa una nuova app, che peraltro riporta il logo e fa tanto pubblicità. Mille vie di comunicazione senza molto da dire, da dialogare, da dibattere, visto che l’azienda non è un’assemblea, e che negli anni le comunicazioni reali si sono fatte sempre più succinte e guardinghe, limitandosi a tabelle e numeri certi. Desolatamente sono gli stessi creatori e curatori che inseriscono spunti e trovate nelle vuote numerose vie di comunicazione aziendali, che per puro dato di reputation social, le imprese ritengono indispensabili. Social e formazione precotti sono quanto attende l’impresa, dietro l’angolo, appena uscita dall’incitazione politica, dal webinar accademico, dalla consigliatura degli esperti. Il vero business atteso, poco smart e molto vessatorio, dello smartworking. I piani di contributo delle regioni Lombardia e Puglia ( in Sicilia tutto a fondo perduto) valutano i costi d’impresa per l’adozione dello smart in 8mila euro per l’azienda fino a 10 dipendenti, 12mila per quella fino a 20 dipendenti, 15mila fino 30 dipendenti, 20mila fino a 30 dipendenti. Un mercato globale rivolto alle pmi da 40 miliardi. Da raddoppiare pensando ai pachidermici blue chip che però diluiscono il costo nelle consuete e frequenti rivisitazioni e riassemblaggi dei numerosi strati informatici di diversi periodo storico e consistenza.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.