Dopo aver girato L’Esodo, la nota attrice Daniela Poggi restituisce la sua visione della società contemporanea, con l’amarezza di chi prende attodi una ingiustizia sociale che ha radici nell’egoismo dell’individuo. Riportiamo in parte le sue riflessioni espresse in InTerris. “Nel girare le scene de L’esodo – esordisce Daniela Poggi – ho capito quanto la povertà dia fastidio alla gente. Stando in ginocchio, col volto rivolto in basso, ti rendi conto di quanto tu non sia neppure vista dalle persone che ti passano accanto: invisibile, nel vero senso della parola. Addirittura, alcuni mi venivano addosso, urtandomi o facendo cadere i barattoli delle monetine senza rendersene neppure conto. La maggior parte delle persone che ho visto sotto i portici, cammina con le cuffiette, o guardando lo schermo di un cellulare, senza notare dove mette i piedi. Persone non relazionate con l’esterno. Soprattutto, non sono relazionate con gli altri esseri umani”. “Nessuno – rileva con amarezza – si è mai fermato per chiedere il cartello ‘Esodata’ cosa significasse, o per sapere chi io fossi, se avevo bisogno di aiuto o semplicemente per dire come stavo”. Tanti anni sul palcoscenico, di fronte a un pubblico plaudente, fino all’esperienza dolorosa dell’indifferenza. Per passare dalle luci della ribalta all’invisibilità é bastato dunque molto poco: un cartello con su scritto “esodata”, vale a dire “povera”. Un’esperienza che non poteva non toccare le corde più profonde dell’anima di Daniela per la quale – sia per educazione familiare, sia per i tanti viaggi fatti all’estero – gli invisibili sono sempre stati…visibili. Tanto che, nel maggio del 2001, è stata nominata ambasciatrice dell’Unicef e ha partecipato a diverse missioni per aiutare i bambini africani, toccando con mano l’estrema povertà del continente (paradossalmente) più ricco del mondo.
Povertà
“Girare il ruolo di Francesca, un’esodata che chiede aiuto per sé e per la nipote, ha ridimensionato l’immagine (forse un po’ irenica) che avevo dell’umanità. Ho capito quanto l’essere poveri sia sgradevole agli occhi dei ‘normali‘: nessuno vuole vedere o relazionarsi con il diverso da sé. Perché nessuno vuole toccare con mano la propria eventuale povertà interiore. Fin quando hai successo sei osannata. Ma essere in ginocchio in questa società del profitto significa non contare nulla. Perdi la tua identità e diventi ‘nessuno’ perché non produci benessere. Sperimentare sulla mia pelle il senso di rifiuto mi ha ferita molto”.
L’inutilità dell’apparenza
“Abbiamo costruito una società che è indifferente agli invisibili, a persone che sono parte integrante della nostra società”. Per uscirne l’unico modo è riprendere contatto con la realtà che ci circonda: guardare con gli occhi della mente e del cuore aperti a 360 gradi. Bisogna inoltre prendere consapevolezza dell’inutilità di giudicare le persone per il loro prestigio sociale: nasciamo tutti allo stesso modo e non c’è dubbio che – chi prima, chi dopo – tutti moriamo”.
La centralità delle relazioni umane
“E quando moriremo – rimarca Daniela Poggi – non ci porteremo dietro tutto quello che abbiamo guadagnato nella vita: soldi, lavoro, carriera...ma resteranno ‘vive’ soltanto le relazioni che abbiamo costruito con gli altri. Non solo quelle di amicizie e di amore verso chi ci sta vicino, ma anche con il resto del mondo, nella sua globalità. Perciò, anche verso chi vive in Africa o India, chi vive sopra o sotto il piano di casa nostra, chi vive all’angolo delle strade o sotto i ponti. Soltanto nella relazione con l’altro noi esistiamo“.
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