Ocone “L’Italia nell’Occidente. Anche per un liberale il quadro è preoccupante”

Attualità

“L’Italia è ancora un paese occidentale?” si chiedeva ieri a tutta pagina l’Huffpost. E Gianni Vernetti portava a dimostrazione dei suoi dubbi, che sono anche di chi scrive, tutta una serie di fatti e provvedimenti, di carattere interno e di rapporti internazionali, che sono avvenuti e sono stati presi sia sotto questo governo sia sotto il precedente. Essere occidentali significa, come è noto, far parte in modo integrante di una comunità di paesi che, oltre ad essere alleati anche militarmente, condividono un insieme di valori politici e morali. I quali sfociano in istituzioni di tipo rappresentativo e costituzionale, cioè liberal-democratico, che cercano di garantire ad ogni livello la partecipazione di chiunque al gioco politico e al potere (democrazia) e le libertà fondamentali dell’individuo (liberalismo). È su questo crinale che si svolge la partita, come dice Vernetti, fra Occidente e autocrazie, ove l’Italia non sembra o non vuole giocare fino in fondo nel primo campo e manda più di un messaggio all’altro fronte. Tutto vero, ma bisogna fare, a mio avviso, alcune precisazioni al quadro delineato. In primo luogo, le istituzioni rappresentative, e le forme della democrazia, sotto la spinta di enormi trasformazioni anche e soprattutto tecnologiche, sono in crisi in tutto l’Occidente, e tutto lascia supporre che lo siano in modo strutturale e non contingente; in seconda istanza, l’ideologia globalista, che è un mix di neoliberismo economico, dirittismo giuridico ed etica della “correttezza”, sembra aver già esaurito ogni sua spinta propulsiva e manifesta tutti i suoi limiti, agonizzando sotto la scure delle varie emergenze non controllabili che caratterizzano un mondo globale tendenzialmente unificato (ultima e forse definitiva quella dell’’epidemia da coronavirus). 

In soldoni, credo che, proprio perché crediamo nelle forme della democrazia e nel liberalismo, noi occidentali ci si debba sforzare di favorire quei processi in fieri nel nostro mondo che portano a ripensarle e a renderle in grado di non tradirsi e di rispondere alle nuove potenti sfide a cui le varie autocrazie ci chiamano, ponendosi come modelli di efficienza e di gestione del potere. Quindi a me non preoccupa solo che l’Italia aderisca entusiasticamente al progetto egemonico cinese di una “nuova via della seta”; preoccupa ancor più il fatto che stiamo adottando un modello neopaternalistico del potere; in cambio della sicurezza materiale più basica ci siamo convinti, o siamo stati convinti, a rinunciare ogni giorno di più alle nostre libertà fondamentali. Fra cui, e qui vengo a un aspetto non inessenziale della questione, a libertà d’impresa. Qui forse è utile provare a compiere una distinzione: il neoliberalismo, che era parte dell’ideologia globalista, è ben altra cosa, proprio in quanto ideologia e per di più materialistica e meccanicistica, dal liberismo classico. Quest’ultimo era prima di tutto un’etica del lavoro, della responsabilità, della meritocrazia, contro ogni assistenzialismo o protezionismo statale e non. Questo liberismo, avendo dei presupposti valoriali precisi, si realizza compiutamente solo in un orizzonte comunitario e non globale. Esso è anche una potente forza creatrice di valore reale e ricchezza: la “ricchezza delle nazioni”, appunto, per riecheggiare il titolo del capolavoro di Adam Smith, e non quella disincarnata del capitalismo finanziario transnazionale e globale. Se si guarda anche solo da questo punto di vista alla situazione dell’Italia, c’è veramente da preoccuparsi.

Blog Corrado Ocone

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