In una Roma immersa nella canicola estiva, nell’Aula del Senato, in pieno centro, viene consumato un atto che passerà alla storia come quello del definitivo imbarbarimento della vita politica italiana. In spregio alle regole del buon senso, del rispetto istituzionale e dei valori ultimi di libertà e democrazia che, almeno a parole, dovrebbero sorreggere ancora la nostra vita civile. È questo il senso ultimo della votazione a favore (149 voti contro 141) della improbabile richiesta di autorizzazione a procedere per “sequestro di persona” chiesta dalla magistratura al Parlamento nei confronti di Matteo Salvini, leader dell’opposizione e del primo partito italiano, Salvini. Il quale, sinceratosi delle condizioni di salute a bordo, si era rifiutato come ministro dell’Interno di far attraccare ad un porto italiano l’Open Arms, uno di quei “taxi del mare”, come li chiamava allora Luigi di Maio, che fanno entrare in Italia ogni giorno migliaia di individui clandestinamente. Una scelta politica precisa, netta, ovviamente criticabile ma che rispondeva a due precisi valori squisitamente politici: la difesa dell’“interesse nazionale”, cioè quella che gli antichi chiamavano salus rei publicae (e in tempi di Covid il termine salute è molto pregnante) e la volontà popolare, cioè nientemeno che la democrazia, avendo avuto Salvini un preciso mandato in tale direzione dall’ampia fetta di italiani che lo avevano votato e che oggi lo voterebbero sicuramente ancora e con più convinzione.
Certo, la politica non è, non può essere, un consesso di anime belle o gentiluomini: i colpi bassi fanno parte del gioco. Ma quando essi si propongono semplicemente, come è avvenuto ieri, di eliminare unavversario politico pericoloso con mezzi illegittimi, quando si fa ciò in barba ad ogni coerenza con quanto si è detto e fatto precedentemente chiamandosi fuori da atti collegiali di governo firmati e controfirmati, siamo già fuori dal perimetro della civiltà. E se non della democrazia formale, senza dubbio di quella sostanziale che è racchiusa nello spirito della nostra Costituzione, a cui pure ipocritamente si rendono in ogni momento ossequiosi omaggi. Gli autori di questo crimine sono in primo luogo Giuseppe Conte e i Cinque stelle, che avevano avallato collegialmente un atto politico che solo politicamente, ripeto, andava e andrebbe giudicato. Autori ne sono anche i piddini, i quali però non ci sorprendono più di tanto, abituati ad assecondare gli atti della magistratura quando colpiscono e atterrano gli avversari a cui non si riesce a tenere testa con gli argomenti e con la politica. Una vecchia storia che da Bettino Craxi passando per Silvio Berlusconi giunge appunto sino a Salvini, ovvero una vecchia tattica di delegittimazione morale dell’avversario che risale cromosicamente alle radici comunistiche e azionistiche della sinistra italiana. E che dire poi del “doppiopesismo” renziano, garantista con gli amici e i familiari e giustizialista, con sofismi e bizantinismi vari, con gli avversari? Ma quella di Matteo Renzi è ormai una storia che rasenta il ridicolo, se è vero come è vero che nel Paese il numero di coloro che hanno ancora fiducia in lui si approssima allo zero. In un quadro così fosco, e drammatico per lo stato comatoso in cui versa la nostra democrazia e vita civile, conforta solo il fatto che ormai il gioco di una certa parte della magistratura, della sinistra e del deep state antisalviniano si è talmente scoperto che gli italiani non se la bevono più e prima o poi presenteranno il conto salato a questa cricca di potere senza dignità e illiberale. La quale non per caso teme il voto come il diavolo teme l’acqua santa.
Corrado Ocone
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