La difesa del governatore Attilio Fontana, rappresentata dall’avvocato Jacopo Pensa, ha depositato Procura a Milano i risultati di alcune indagini difensive sul ruolo ricoperto dal governatore lombardo nella fornitura dei mila camici e set sanitari commissionata dalla centrale acquisti regionale a Dama, l’azienda di proprietà di suo cognato Andrea Dini e partecipata anche da sua moglie Roberta Dini. L’esito delle prime indagini difensive messe a punto dal difensore del governatore lombardo è stato depositato al procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, coordinatore del fascicolo di indagine che vede il governatore lombardo indagato per frode nelle forniture pubbliche insieme al cognato Dini, a Filippo Bongiovanni, ex direttore generale di Aria, e una funzionaria a capo dell’ufficio gare della Consip della Regione Lombardia. Una mossa, quella della difesa di Fontana, che arriva dopo il confronto avuto settimana scorsa da Pensa con i magistrati milanesi.
“Ma chi non rispetta il contratto è il cognato di Fontana”, aveva assicurato il legale ai giornalisti dopo il faccia il faccia con i pm, preannunciando così la linea difensiva del governatore che, per l’avvocato Pensa, in questa vicenda ha agito “in buonafede” per “evitare malignità”. Secondo la ricostruzione dei pm Paolo Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas, il governatore avrebbe avuto un ruolo nella procedura che portò alla trasformazione del contratto in affidamento diretto sottoscritto il 16 aprile scorso tra Aria e Dama (513 mila euro per la fornitura di 75 mila camici e 7 mila set sanitari da destinare a medici e infermieri durante l’emergenza Coronavirus) in una donazione. L’accusa di frode nelle pubbliche forniture è scattata alla luce di un “inadempimento” relativo alla mancata consegna dei 25 mila camici che facevano parte del contratto originario e che Dini, nella speranza di ottenere un parziale risarcimento economico dopo che il contratto era stato trasformato in donazione, avrebbe cercato di rivedere sul mercato a prezzo superiore. Un “inadempimento preordinato” perchè frutto di un “accordo retrostante” tra Fontana e suo cognato, hanno scritto i pm nel decreto di perquisizione che, settimana scorsa, ha portato la Gdf a sequestrare i 25 mila camici “mancanti” nel magazzino di Dama a Varese. Come testimoniato, sempre stando all’impianto accusatorio della procura, anche dal tentativo del governatore di risarcire il cognato con 250 mila euro prelevati da un suo conto svizzero ma poi bloccati dall’Unione Fiduciaria di Milano che segnalò il bonifico sospetto all’Uif di Bankitalia così come previsto dalla normativa antiriciclaggio. Una ricostruzione che la difesa Fontana punta a ribaltare con una serie di atti di depositati in procura. /Askanews)
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