Riceviamo e pubblichiamo: Gli Emirati per la pace in Medio Oriente

Attualità

Da  più di settant’anni è in corso il  conflitto arabo-israeliano nella regione del Medio Oriente. Questo sanguinoso conflitto ha causato migliaia di vite umane e enormi perdite materiali da entrambe le parti. Si stima  che diversi trilioni di dollari siamo stati stati spesi in guerre e armamenti.

I regimi arabi minacciavano di sradicare gli ebrei e di piantare le loro bandiere nel cuore di Tel Aviv.  Israele, invece , ha fortificato per decenni un enorme arsenale di armi, missili e muri “tampone“.

In una scena più vicina all’immaginazione che alla realtà, questa è la bandiera di un paese arabo che illumina dalla scorsa settimana l’edificio municipale di Tel Aviv ed è la bandiera degli Emirati Arabi Uniti.
Non sono entrati in Israele agitando le spade della morte e degli abusi, ma sono entrati dalla porta dell’umanità e della tolleranza, che è la porta della pace e della misericordia tra i popoli.

Nel 2016 un leader di un Paese arabo è venuto in Vaticano con un messaggio di tolleranza tra religioni e popoli e ha discusso con il Papa  i modi per raggiungere sicurezza, pace e stabilità nella regione e nel mondo.
I giornali europei hanno affrontato questo evento con interesse e curiosità, anche se molti osservatori hanno considerato la sua visita un protocollo transitorio che non avrebbe portato nulla di nuovo.  Ma al contrario,  quel leader era lo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi, che è lo stesso leader che oggi ha raggiunto un accordo di pace con Israele sotto gli auspici degli  Stati Uniti.

È evidente che ogni persona sana di mente accoglie con favore questo coraggioso passo verso la pace e la prosperità tra i popoli del Medio Oriente. Gli Emirati Arabi Uniti si sono uniti ai due Paesi arabi, la Giordania e l’Egitto, che hanno già  firmato accordi di pace con Israele, in modo che questa triplice alleanza costituisca un pilastro fondamentale nel sopportare il peso  del conflitto.  Il Regno hascemita di Giordania, va ricordato,  è da sempre considerato il “polmone“ attraverso il quale il popolo palestinese respira in virtù della geografia e della storia comune. La Giordania ha poi sopportato per molti decenni il gravoso compito della tutela e della difesa della sacralità  della città di Gerusalemme, come riconosciuto dalla comunità internazionale, e tale sacralità è una questione centrale per gli arabi e per tutti i musulmani nel mondo.

Ma è illogico che un passo così costruttivo e positivo venga rifiutato e accolto con ingratitudine, specialmente da parte dei diretti interessati che sono i palestinesi. Non mi riferisco qui ai palestinesi come popolo, e sono loro che si sono sacrificati e hanno combattuto per decenni per il bene della loro causa e dell’autodeterminazione, ma sto parlando dei leader delle fazioni, dei partiti e dei funzionari dell’Autorità palestinese.  Da sempre abituati ad approfittarsi degli aiuti che arrivavano  al popolo palestinese dai ricchi Paesi del Golfo, guidati dagli Emirati, qualsiasi accordo di pace non sarà nel loro interesse, perché queste facili risorse finanziarie si fermeranno naturalmente.
Cinquant’anni di trattative dirette e indirette condotte da queste persone in nome del popolo palestinese e non sono arrivate solo a prolungare il conflitto e la sofferenza dei popoli di entrambe le parti. E ciò mentre i loro leader raccoglievano ingenti somme di denaro in nome della resistenza palestinese con gli  slogan sul diritto all’uomo e all’autodeterminazione. Molti di loro oggi possiedono palazzi e auto di lusso e mandano i loro figli  alle  più prestigiose università delle capitali occidentali, mentre il  popolo palestinese soffre sotto il peso di questa discutibile Autorità Palestinese.

A livello internazionale questo passo verso la pace tra Emirati Arabi Uniti e Israele è stato accolto con entusiasmo dalle più importanti capitali mondiali, a partire da Tokyo e Mosca fino a Roma, Parigi, Londra e persino Washington … ad eccezione di un Paese che ha espresso risentimento, ovvero la Turchia.

La Turchia ha basato la sua obiezione su uno strano argomento, ovvero che si schiera con i palestinesi nella loro causa e che la mossa degli Emirati è considerata un tradimento della causa palestinese.

La Turchia è il più grande paese islamico che ha stabilito relazioni piene e dirette con Israele sin dal suo inizio. Hanno trattati strategici e di difesa congiunti, così come il volume degli scambi commerciali tra i due paesi supera i sei miliardi di dollari, quattro miliardi dei quali sono esportazioni dalla Turchia a Israele.La Turchia è effettivamente l’unica arteria economica nei dintorni geografici di Israele circondata su tutti i lati da cinque Paesi arabi e Ankara è considerata l’unica alleata militare  di Tel Aviv nella regione.

È chiaro che la posizione turca è una posizione maliziosa che vuole solo sabotare il processo di pace per interessi politici che sono diventati noti a tutti. I “capricci“ espansionistici del presidente Recep Tayyip Erdogan  non sono solo contro gli Emirati Arabi Uniti, ma anche contro Siria, Libia e tutti i paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo.

È chiaro che la politica della tolleranza e delle relazioni tra i popoli portata avanti con coraggio   dallo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi, spianerà  la strada verso la pace nella regione e avvicinerà coloro che  vogliono realizzare le loro aspirazioni nella regione.  Questi gli obiettivi: Sviluppo economico, prosperità, stabilità e progresso di un sistema mediorientale equilibrato che pone le persone al di sopra di ogni considerazione religiosa o etnica.
Allo sceicco Mohammed bin Zayed, uomo indiscusso della pace, il ringraziamento di tutte le persone libere.

Khaled Awamleh (giornalista giordano9

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Moderazione dei commenti attiva. Il tuo commento non apparirà immediatamente.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.