31 agosto 1957. Il Gamba de Legn’, alle ore 19.15 precise, partiva puntuale dallo storico deposito (di cui oggi non resta traccia se non nelle foto e in qualche, purtroppo, raro filmato d’epoca) di corso Vercelli 33 (l’ultimo sopravvissuto alla progressiva soppressione delle varie linee a vapore e operativo fin dal 1911) per la sua ultima corsa milanese (la tramvia a vapore resterà operativa ancora per alcuni mesi sulla linea Trezzo Monza), diretta alla volta di Vittuone.
Ormai, il tram a vapore, considerato lento, insalubre e obsoleto, veniva progressivamente sostituito da quelli elettrici e, sulle linee interurbane, dai mezzi su gomma, ritenuti più pratici, veloci ed economici. Si era nel periodo del boom economico e della motorizzazione del paese, tanto che in molte città italiane furono proprio soppressi i tram e mai più ripristinati: per esempio, a Genova, le linee tramviarie furono soppresse definitivamente nel 1966 e soltanto a partire dagli anni ’90 del ‘900 alcune delle gallerie precedentemente utilizzate da detti mezzi saranno ristrutturate e riutilizzate per la nascente metropolitana.
Eppure, come attestano le numerose foto d’epoca facilmente reperibili in rete, a Milano la dismissione dello storico tram a vapore non lasciò indifferenti i milanesi, nonostante la profonda trasformazione delle modalità di trasporto, pubblico (sette anni dopo sarebbe finalmente entrata in funzione la metropolitana, i cui primi progetti risalivano addirittura al secolo precedente) e privato (di lì a un decennio, molti italiani iniziarono a potersi permettere un’automobile privata e l’industria automobilistica era in forte espansione), in essere: il Corso Vercelli, ma anche tutte le strade nei vari paesi dell’hinterland nord ovest lungo le quali transitava il tram a vapore, quel tardo pomeriggio di fine estate erano letteralmente invase da cittadini scesi in strada (e all’epoca non c’erano certo gli eventi organizzati via social come avviene oggi, quando con una semplice pagina facebook si riesce a richiamare una moltitudine di persone) per dare l’ultimo saluto al “loro” tram a vapore.
Addirittura, la corsa arrivò a destinazione con molto ritardo rispetto all’orario previsto in quanto il convoglio, addobbato per l’occasione con con mazzi di fiori dal fochista Enrico Fagnani, non riusciva a farsi strada tra la calca. Narrano le cronache dell’epoca che, lungo l’intero tragitto, numerose persone si paravano di fronte alla motrice, obbligandola a frenare la corsa, al grido di “Gamba de Legn’ moeur no” (“Gamba di Legn’non morire”). Nonostante lo sviluppo della nuova rete di trasporti urbani e interurbani, i milanesi erano affezionati al loro vecchio, sbuffante, rumoroso e insalubre tram a vapore. Chi non era sceso in strada, ma abitava lungo il percorso, si era accalcato sui balconi o alle finestre.
Del Gamba de Legn’ si è già parlato altre volte anche sulle pagine di Milano Post, per cui non occorre raccontare molto della sua storia: basti ricordare che si trattava di una serie di linee tramviarie a vapore diffuse, a partire dal 1878, tra Milano e prvincia e via via in tutto il nord Italia, dalle valli dell’Oltrepo Pavese fino all’Emilia Romagna.
I convogli erano costituiti da piccole motrici a vapore (completamente carenate nella parte inferiore per evitare che, nei tratti urbani, eventuale pietrisco presente sulla sede stradale potesse venire scagliato addosso ai pedoni), prodotte in Germania all’inizio e poi, su licenza, anche in Belgio, nonché da alcune rimorchiate (in genere, tre per convoglio, ma la configurazione variava sovente in funzione delle contingenze), sulle quali viaggiavano i passeggeri
Si trattava di mezzi lenti, in origine infatti i convogli, secondo il regolamento varato dal Consiglio Provinciale, non potevano superare i 15 km/h, che si riducevano a 10 in città e a 5 in caso di nebbia, quando davanti alla motrice doveva procedere, nei tratti urbani, un addetto a piedi munito di bandierine rosse e fischietto.
Solo negli anni ’20 (equipaggiate le motrici con freni di tipo diverso) il regolamento fu mutato e i convogli potevano raggiungere, ove possibile, la velocità massima di cui le motrici erano capaci, cioè 40 Km/h (come i tram elettrici modello “Peter Witt”, noti come “carrelli”, entrati in funzione a Milano nel 1928 e tuttora in servizio).
Sul perché questi tram interurbani fossero noti come “Gamba de Legn’” (a volte anche “Sgich”) si sono fatte molte ipotesi, ma la realtà è che oggi nessuno lo sa: per alcuni il nome derivava dall’andatura lenta e caracollante delle motrici, per altri dalla staffa di legno che teneva uniti gli stantuffi di ferro delle ruote, per altri ancora (è questa l’ipotesi più diffusa, ma anche la meno credibile) per il fatto che a un macchinista a causa di un incidente pare fosse stata amputata una gamba (sostituita, appunto, con una di legno) e che lo stesso macchinista (in un’epoca in cui certo non esistevano tutele previdenziali) si era “riciclato”, non potendo più condurre le vetture, come addetto che in caso di nebbia precedeva il convoglio a piedi segnalando l’arrivo di quello che il già citato regolamento stabilito dal Consiglio Provinciale aveva definito “pericolo imminente” (viene da sorridere se si pensa che oggi circolano nel traffico tram ben più grandi e veloci, nebbia o non nebbia, senza tutti questi accorgimenti…).
Ma queste, bene o male, sono cose note, già trattate abbondantemente, quello che è bello ricordare nell’anniversario dell’ultima corsa è l’affetto dei milanesi (e non solo) per il loro tram a vapore e il motivo di tale affetto.
(prima parte)
Milanese di nascita (nel 1979) e praticante la milanesità, avvocato in orario di ufficio, appassionato di storia, Milano (e tutto quel che la riguarda), politica, pipe, birra artigianale e Inter in ogni momento della giornata.
Mi improvviso scribacchino su Milano Post perché mi consente di dar sfogo alla passione per Milano e a quella per la politica insieme.