La gloriosa storia del Gamba de Legn’ continua (terza parte)

Milano

E poi… è subito 1957, la guerra un triste ricordo, l’Italia è nel boom economico, in tanti si comperano la propria autovettura, le linee ferroviarie fioriscono e sono alla portata di molti, le città pullulano di moderni, agili e capienti tram elettrici, i progetti per la linea metropolitana sono in fase avanzata, le linee interurbane per i pendolari sono affidate a veloci autobus in grado di arrivare ovunque senza bisogno di rotaie, tutto cambia e un tram a vapore in servizio da settantotto anni che appesta e lorda con i suoi fumi i lussuosi palazzi che stanno nascendo durante la ricostruzione è ormai un anacronismo. Anche esteticamente il Gamba de Legn’ non c’entra più nulla con il moderno corso Vercelli (nel quale sparisce il ponte della vecchia ferrovia e aprono negozi lussuosi), dove nel traffico veicolare quello strano convoglio che emette fumo nero e dalle forme ormai superate sembra uscito da qualche stampa ottocentesca e dimenticato per sbaglio in mezzo alla modernità.


E così la decisione dell’ATM, che nel frattempo ha assunto la gestione di tutte le linee (un tempo ciascuna linea di Gamba de Legn’ era privata e indipendente dalle altre), è inevitabile: l’ultima linea rimasta in servizio di Gamba de Legn’, già ridotta nella lunghezza del tragitto, va soppressa, le vetture demolite (qualcuna venduta a qualche impresa che l’ha riciclata per trasportare i materiali nei raccordi ferroviari interni), come lo storico deposito, i milanesi liberati dall’ingombrante, insalubre e inutile presenza.

Ma i milanesi, di solito riservati, pratici, per nulla romantici, poco inclini alle manifestazioni nostalgiche perché sempre proiettati sul futuro e pronti a rivoluzionare la loro città (l’unica cosa che non cambia e non si rinnova mai a Milano è la voglia quasi ossessiva di rinnovarsi e cambiare) in nome dell’efficienza anche a scapito delle vestigia storiche e delle tradizioni, non dimenticano il mezzo che per quasi ottant’anni li ha serviti in modo impeccabile come nessun altro sistema di trasporto in quella lunga epoca è riuscito a fare. E’ uno dei rari casi in cui i milanesi anziché pensare in modo maniacale al proprio futuro si fermano a contemplare il loro passato, o meglio, un pezzo glorioso del loro passato, un piccolo, umile vecchio tram che tanta parte ha avuto nell’evoluzione sociale ed economica di quasi un secolo: un secolo segnato da cambiamenti epocali e dalla tragedia di due guerre mondiali, un secolo in cui Milano ha avuto una crescita e un’espansione enormi, di quelle che, di solito, spazzano via il passato perché proiettate nel futuro. Ma il Gamba de Legn’ è un passato che neppure la ipercinetica, frenetica e futuribile Milano riesce a cancellare con la consueta facilità con cui di solito cancella qualsiasi esperienza storica per gettarsi verso nuove prospettive.


A Milano furono, progressivamente, tombinati prima e interrati poi i vari navigli e canali (con poche eccezioni) che avevano rappresentato secoli di sviluppo economico (il marmo del Duomo così come la carta per le rotative del Corriere arrivavano sui barconi, la Darsena funzionò come porto commerciale fino al 1979 e per volume di merci era tra i primi d’Italia), eppure quasi nessuno si fece problemi: solo il Beltrami (colui che salvò il Castello Sforzesco dalla totale demolizione prevista nel piano Beruto del 1884), e neanche con troppa convinzione, provò a contestare la copertura della cosiddetta fossa interna, per gli altri milanesi era divenuta solo un impedimento allo sviluppo, già Manzoni un secolo prima parlava di “fogna a cielo aperto”, per cui l’eliminazione di buona parte dei corsi d’acqua artificiali che avevano caratterizzato la città per secoli fu salutata con favore e la cosa finì lì.
Ma il Gamba de Legn’ no, è stata una parte troppo importante e pregnante della vita del popolo milanese per poter uscire di scena in sordina, è stato un pezzo di popolo milanese stesso, una creatura viva, cui andavano tributati onori che nella storia recente della città non erano mai stati tributati a niente e nessuno. ( Terza parte)

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