Due giorni fa i compagni di Repubblica sono venuti in soccorso rosso al Sindaco Sala. “Beppe” hanno detto “ma chi te lo fa fare di arrovellarti. Già un altro prima di te è fuggito da Palazzo Marino, perché non prendi tempo per decidere se questa città vale la fatica di governarla?”. Il messaggio che ne esce è devastante. Per capire quanto dobbiamo fare un passo indietro. In questo momento ci sono tre grosse crisi sotterranee che assediano la città:
- Le ricadute del Covid sulla mobilità interna ed esterna di Milano. Non parlo di viabilità, ma di “traffico umano” nel senso più ampio del termine. La gente si muove meno, muovendosi meno consuma diversamente (non meno, è un errore prospettico, consuma cose diverse) e, nel caso dei turisti stranieri, è praticamente scomparsa. Questo porta ad un cambiamento tanto più traumatico quanto improvviso, ed una grande domanda: resistere o seguire il flusso e cambiare tutto? Per decidere sarebbe carino sapere cosa ha in mente l’amministrazione per la Milano dei prossimi dieci anni. E come facciamo a saperlo se il Sindaco ha un orizzonte temporale di dieci settimane al massimo?
- Il mercato immobiliare cittadino. Milano arriva al 2020 in deficit di futuro, in termini di visione generale. Dietro gli scali ferroviari, in buona sostanza, il nulla. Nulla (salvo l’ottima proposta dell’ex assessore della prima giunta Albertini Gianni Verga sulla riqualificazione a costo zero di una serie di caseggiati) sulle case popolari, sugli spazi abbandonati e sul deserto produttivo. Questo porta ad un deficit di investimenti e a una dinamica schizofrenica dei prezzi, che non portano ad affittare, ma solo a vendere. Rischiamo quindi uno spopolamento silenzioso della città e a un crollo improvviso dell’intero mercato. Ci vorrebbe, anche qui, un piano di lungo termine. E anche qui soffriamo un sindaco che ha la data di scadenza, modello yoghurt.
- In tutto questo c’è una questione non marginale: che futuro ci immaginiamo per la città? Finora la linea guida è stata: turismo e start up, da affiancare alla città dei servizi. Problemi: a. il turismo è in crisi b. le start up non hanno ricadute sul territorio c. i servizi stanno passando allo smart working stabilmente. Una città, così, non campa. Qui dobbiamo decidere: ce la prendiamo col destino cinico e baro, costruiamo un’alternativa che abbia ricadute sul territorio (manifattura 4.0, makers e artigiani digitali) oppure resistiamo finché non passa e speriamo di tornare indietro? Qualsiasi sia la scelta, costruiremo sulla fiducia. Fiducia che non c’èe se il primo dei Milanesi non pensa valga la pensa di impegnarsi per risollevare la città.
In tutto questo l’opposizione a che punto è? Attende che Salvini finisca il suo beauty contest: non che ci sia fretta, come ci ricordano i compagni di Repubblica. C’è un rischio però: non possiamo morire di nostalgia. Ricordava il Consigliere Vassallo ieri che l’unica nostalgia di Milano è per il futuro. Albertini è stato un grande della politica Milanese. Ma oggi non è il 2001. Guardiamo avanti e diamo risposte concrete alle sfide. L’alternativa, devastante, è una città a dimensione di Majorino. Qualcosa che i nostri figli non ci perdoneranno mai.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,