Studio Monzino: vaccino antinfluenzale aiuta a combattere il Covid: meno vaccini, più Covid

Scienza e Salute

Uno studio del Centro Cardiologico Monzino dimostra che, nel periodo del lockdown, le regioni Italiane con un più alto tasso di copertura della vaccinazione anti-influenzale nella popolazione degli ultra 65enni mostravano un minor numero di contagi, un minor numero di pazienti ricoverati con sintomi, così come un minor numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva e di decessi per COVID-19. I dati, appena pubblicati su Vaccines, una rivista internazionale del gruppo “Multidisciplinary Digital Publishing Institute”, supportano l’ipotesi che la vaccinazione antiinfluenzale possa aiutare a prevenire la diffusione del COVID-19. Anche se sono necessari ulteriori studi ad hoc per confermare l’ipotesi, lo studio fornisce un’ulteriore base scientifica alle raccomandazioni di tutte le autorità sanitarie, a partire dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che esortano la popolazione a sottoporsi, soprattutto quest’anno, al vaccino antiinfluenzale. “Il mondo della cardiologia è stato, come gli altri, devastato dall’ondata di Covid-19 e la mancanza di vaccini e farmaci in grado di arginarla ci ha spinto a cercare delle alternative per rispondere all’attacco della pandemia – spiega Damiano Baldassare, coordinatore dello studio, Responsabile dell’Unità per lo Studio della morfologia e della funzione arteriosa del Monzino, e Professore associato del Dipartimento di Biotecnologia Medica e Medicina Traslazionale dell’Università di Milano – In vista di una imminente seconda ondata virale ci siamo concentrati sull’ipotesi, avanzata da diversi scienziati, circa il ruolo del vaccino antiinfluenzale nel ridurre la diffusione di COVID-19”.

Il virus dell’influenza e il Sars-CoV-2 hanno vie di trasmissione simili – si legge nel lavoro – e alcuni sintomi in comune, ma sono molto differenti in termini di gravità e mortalità in caso di infezione, e in termini di gruppi di età colpiti. L’influenza contagia soprattutto bambini e adolescenti, mentre il COVID-19 colpisce prevalentemente i soggetti più anziani. Una possibile spiegazione potrebbe essere che i più giovani hanno un sistema immunitario più reattivo e rafforzato dall’esposizione agli agenti virali o agli antigeni contenuti in molti vaccini pediatrici (anti morbillo, varicella, scarlattina, rosolia, epatite B, papilloma virus…). I vaccini possono innescare meccanismi positivi di risposta immunitaria non -specifica, migliorando la capacità di reazione del sistema immunitario nel suo insieme. “Nel nostro studio – spiega Mauro Amato, ricercatore del Centro Cardiologico Monzino e primo autore dell’articolo – abbiamo confrontato, regione per regione, i tassi di copertura vaccinale negli over 65 con il numero di contagi e altri 3 indici di severità clinica della malattia: il numero di ospedalizzazioni per COVID-19, il numero di soggetti ricoverati in terapia intensiva e il numero di soggetti deceduti per l’infezione. Tutte le analisi hanno confermato che i tassi di diffusione e la gravità del virus Sars-CoV-2 sono inversamente proporzionali al tasso di vaccinazione antiinfluenzale: meno vaccini, più COVID-19”. “Abbiamo stimato – conclude Amato – che un aumento dell’1% della copertura vaccinale negli over 65, che equivale a circa 140.000 dosi a livello nazionale, avrebbe potuto evitare 78.560 contagi, 2.512 ospedalizzazioni, 353 ricoveri in terapie intensive e 1.989 morti per COVID-19. Sarebbe pertanto importante incentivare il più possibile qualsiasi attività che possa portare ad un aumento della copertura vaccinale soprattutto fra gli ultra 65enni “.

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