Fra i vari effetti avuti dalla pandemia nello scenario politico italiano, uno è forse meno evidente, e nemmeno immediatamente politico, ma potrebbe avere conseguenze di più lunga durata oggi nemmeno immaginabili. Come è noto, la destra di opposizione si è trovata in questi mesi spiazzata: per il cambio di scenario; per essersi accorta di avere sì intercettato umori e bisogni non rappresentati degli italiani, ma di non avere nel complesso una visione coerente del proprio essere; per l’impossibilità di ripetere vecchi slogan o insistere su vecchie politiche mentre lo stesso avversario cambiava pelle e le faceva in qualche modo proprie pur finalizzandole ai suoi obiettivi. Sembrerebbe strano, ma ciò ha generato a destra un dibattito culturale che mancava da tempo, che ha visto scendere in campo da protagonista persino un “padre nobile” come Marcello Pera e a far maturare il progetto di una rivista solo di idee. Un dibattito polifonico e spesso anche contraddittorio, ma di una vivacità senza pari che lascia ben sperare in sintesi future politicamente più adeguate e efficaci di quelle che a destra semplicemente sono sinora mancate. È stato proprio Matteo Salvini a parlare, per molti inaspettatamente, di “rivoluzione liberale”. E le sue parole, supportate dall’autorevolezza dello stesso Pera e di altri intellettuali, sono state prese per quello che vogliono intendere: non un astorico richiamo a Gobetti ma l’apertura a nuovi strati sociali e l’esigenza di una sintesi culturale di tipo liberale. Il problema di come definirsi, in questo senso, può certo avere un senso o indicare una direzione, ma lo sforzo deve essere quello di farlo emergere dalla riflessione non come mero slogan o etichetta identitaria. Intanto, è da segnalare il rapido esaurimento, che chi scrive aveva previsto dal primo momento, del termine “sovranismo”, ritenuto ormai insufficiente o ripudiato persino da chi aveva scritto libri per perorarne la causa! A parte il fatto che si trattava di un termine costruito polemicamente (e dispregiativamente) dagli avversari politici per identificare le affinità (molto relative in verità) fra idee e movimenti di tipo nuovo affermatisi a un certo punto a livello mondiale, il sovranismo come concetto pensato e logicamente argomentato, e non semplicemente come termine facilitatore nel dibattito pubblico, non esisteva ieri e non esiste oggi.
Tutto quel che di “buono” poteva esserci in esso era nel vecchio termine-concetto di nazionalismo: quello democratico e costituzionale ottocentesco, intendo, non quello aggressivo e “imperialistico” del secolo successivo. E più utile sarebbe stato lavorare su quel concetto, per depurarlo delle scorie su di esso col tempo depositatesi. Certo, un’altra storia e legittimità ha il termine conservatorismo, la cui dignità è attestata dalla storia e da un enorme pantheon di autori che va in età moderna da Edmunde Burke, il critico della Rivoluzione francese, a Roger Scruton, il pensatore britannico scomparso pochi mesi fa. Nei ragionamenti dei conservatori, quelli seri ovviamente, un intellettuale non di sinistra non può non riconoscersi, anche se c’è un elemento nel conservatorismo che cozza con la forma mentis liberale: la prevalenza in genere dell’idea di un ordine armonico nelle società piuttosto che l’accettazione del conflitto (regolato) come elemento auspicabile e vitale per l’intero corpo sociale. E veniamo infine al liberalismo, la cui “morte per sempre” è stata tante volte annunciata dagli stessi intellettuali (si pensi al periodo fra le due guerre mondiali) ma non è mai avvenuta. D’altronde, il liberalismo inteso come ideologia non è mai nemmeno nato, né poteva nascere: esso è un metodo, se preferite una sensibilità, e non un sistema di pensiero predefinito. Esso non rappresenta altro che l’espressione semantica di quell’esigenza di libertà che è propria dell’essere umano in quanto tale e la politica realizza quanto sa corrispondere ad essa adeguatamente nei diversi contesti storici. Ora, mi chiedo: non sono problemi di libertà quelli che si presentano ai nostri occhi, a livello globale e direi epocale, sicuramente, ma anche, per quel che qui più ci interessa, a livello europeo e italiano? Il problema italiano attuale, accentuato dalla pandemia e dalla presenza del governo “più a sinistra” della storia repubblicana, non è forse proprio quello di mettere un argine al nuovo “statalismo etico”, come lo ha definito Nicola Porro, cioè a un potere sempre più invasivo e pervasivo che vorrebbe accompagnarci per mano e dirci cosa produrre, cosa consumare, come comportarci, quali stili di vita adottare? E ovviamente per il nostro bene: trattandoci quindi da infanti, con un malcelato senso di superiorità che si esprime persino nel linguaggio. Oltre che in una demenziale bulimia normativistica denunciata persino da un filosofo da sempre di sinistra come Massimo Cacciari. È quel “paternalismo moralista e a autoritario”, da cui Kant, Humbold e Mill ci hanno messo in guardia già due e più secoli fa, che oggi ritorna prepotente, come ci ricordava ieri su queste colonne Alessandro Barbano, nel modo in cui la democrazia italiana risponde alla crisi sanitaria. Se la destra, con visione e preparazione, si inserirà in queste nuove sfide di libertà, e le saprà tradurre in politiche serie e coerenti, avrà un futuro e farà bene non solo a sé stessa ma anche al Paese. E sarà liberale, voglia o non voglia definirsi tale.
Blog Corrado Ocone
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