Qualcuno ha visto Dante? Dico proprio lui, Dante Alighieri. Si avvicina il settecentesimo anniversario della sua morte. Un grande concerto diretto da Riccardo Muti ha aperto solennemente a Ravenna le celebrazioni dell’anno dantesco, perfino Mattarella ha danteggiato, per una volta uscendo dai consueti anniversari novecenteschi e dai cataloghi di ovvietà e predicozzi. Fu proclamata la giornata dantesca, il Dantedì, fissata per il 25 marzo.
Si, però c’è un grande buco al centro: manca la visione. Proprio lui, il visionario per eccellenza, l’autore del meta-film più famoso nel mondo, la Divina Commedia, l’inventore del cinema con sei secoli d’anticipo, in una trilogia spettacolare dedicata all’inferno, al purgatorio e al paradiso, non è mai stato raccontato al cinema o in una serie; e non sarà raccontato, da quel che sappiamo nemmeno nel prossimo importante centenario. Un racconto epico, lirico, storico, visionario. Voi direte, ma proprio ora che siamo smarriti in una selva oscura, tu ci parli di Dante? Ma si proprio adesso, per fronteggiare meglio l’inferno che si annuncia e il purgatorio che ci costringe tutti in mascherina, distanti e impauriti. Perché ci sono più cose in cielo e in terra del virus. Dante ci vuole, per tornare a riveder le stelle… È davvero strano ma lui, il padre fondatore della civiltà italiana e della sua lingua, il sommo poeta, colui che ha scritto il libro più grande di tutti i tempi (la Bibbia e i libri sacri sono dettature di Dio, non sono opera umana), non ha mai avuto un film dedicato a lui e al suo capolavoro. Dico un film dedicato alla vita e all’opera e non solo a uno scorcio d’inferno o a una storia dantesca. A parte qualche film esoterico, di nicchia, dedicato a lui, come Il mistero di Dante di Louis Nero, l’unico film dantesco che risale nella mia memoria è Totò all’inferno. E l’ultimo Dante pop rappresentato in giro è di un altro comico, Roberto Benigni. Il Dante di Giorgio Albertazzi (l’unica Vita di dante in bianco e nero in tv 56 anni fa), di Carmelo Bene o di Vittorio Sermonti restano per un’eletta schiera. Solo Totò e Benigni… Due comici reggono la memoria popolare, cine-televisiva di Dante, così come un comico e la sua scadente compagnia di giro reggono le sorti del paese. Diciassette anni fa, quando per disavventura capitai di passaggio ai vertici della Rai e di Cinecittà, incontrai più volte Pupi Avati. Aveva un bellissimo progetto: un film dedicato alla vita di Dante, narrata da Boccaccio. Grande idea ma non trovava sostegni per partire nella magnifica impresa. Dopo diciassette anni di tribolazioni, qualche mese fa venne l’annuncio: il film di Pupi Avati su Dante si farà, sarà Castellitto il protagonista, narrerà la sua vita. Sarà il film della mia vita, diceva Pupi, e gli brillavano gli occhi di luce dantesca.
Ora che si avvicina il settimo centenario e io sono in avanzata gravidanza di un libro particolare su Dante, il suo pensiero e la sua profezia – concepito durante i mesi del lockdown – ho chiesto a Pupi in quale selva oscura si sia smarrito il suo Dante. Mi ha risposto sconfortato che Dante è ancora nell’altro regno, e rischia di non planare in terra per il suo anniversario. Anzi è in alto mare, non c’è ancora una sceneggiatura, mancando il via libera. Capisco, è un brutto momento, stiamo alle prese con la peste del nostro tempo, le sale cinematografiche sono vuote, io ci sono andato quattro o cinque volte ed è stato come vedere la tv, non c’erano in sala nemmeno le fatidiche sei persone che puoi invitare a cena. Capisco. Ma tanti progetti sono stati messi in piedi, caldeggiati, vanno avanti nonostante tutto. Dante no. Proprio lui che potrebbe sollevare anzi redimere un paese catatonico, lui che conosce gli abissi e le vette. Allargo lo sguardo alla Rai e penso alla sua funzione di narratrice istituzionale del Racconto popolare per la crescita civile e culturale italiana. È il suo compito, la sua mission. Trovo invece fiumi di fiction dedicate a sarte, a sportivi, a imprenditori, a sindacalisti, a banditi, a mascalzoni, a cantanti, ci sono poi tante fiction che rispondono alla lottizzazione della memoria, una in quota chiesa, una in quota gaudenti, uno in quota confindustria, uno in quota polizia, carabinieri, finanzieri, guardia costiere, sette in quota sinistra, sette in tema di nazifascismo… Ci sono film dedicati ai gay, ai neri, ai disabili, alle femministe e ai femminicidi, agli eroi del politically correct, ma Dante no. E in giro si fanno film persino dedicati alla Ferragni… Ma Dante no. Al più ci penseranno Angela & Angela, che in quanto angelici e tuttologi metteranno su un bel Dante Quark. Fosse stato un mezzo anniversario antifascista o antirazzista avremmo già soldi, trombettieri, registi e cast pronti per la partenza. Il ministro della cultura Dario Franceschini resta sonnolento nel limbo, tra gli ignavi o tra color che son sospesi; o forse appesi, come i caciocavalli di una volta. Capisco che cimentarsi con Dante spaventa e anche chi ci pensò tra i grandi registi poi non realizzò un film dantesco; ma diamine, si sono fatti film su Gesù Cristo e san Francesco; si potrà pur raccontare Dante, la sua vita, le sue guerre, l’amore, l’esilio, gli incontri coi potenti, le profezie, le opere. Magari un film che sappia coltivare, come dicono i fisici, gli universi paralleli e sappia intrecciare la vita reale e movimentata di Dante con i suoi viaggi visionari, onirici e sapienziali. Macché, Dante è in quarantena, vive il suo perpetuo lockdown. Perché l’Italia è in mano a gentaglia cui fa notte innanzi sera, direbbe un collega di Dante…
Post Marcello Veneziani
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Chi ha saputo intrecciare la vita di Dante con la Divina Commedia ora c’è: si legga DANTE DI SHAKESPEARE di Monaldi & Sorti, appena uscito per la Solferino Libri in abbinamento al Corriere della Sera. Spettacolare.