Tra pochi giorni, alla fine del processo d’appello, le carceri Italiane potrebbero avere un innocente in più come ospite. Questa vicenda, iniziata nel 2014 con la morte di un giornalista Italiano, Andrea Rocchelli in Ucraina, sta vedendo le sue battute conclusive in un’aula di tribunale Italiano. Sul banco degli imputati un soldato regolare della guardia nazionale Ucraina, che quel giorno avrebbe potuto trovarsi sul luogo del delitto e, se si fosse trovato là, non si può escludere che abbia ordinato di far fuoco e tutto perché si suppone che abbia riconosciuto in Rocchelli e due suoi colleghi dei giornalisti.
No, non è Kafka. È la giustizia Italiana. Ed è triste, sapete? Questo caso, basato su condizionali (no, l’imputato non ha mai confessato di essere là, ha solo detto che era di stanza sulla collina. Ma non dove fosse in quel preciso momento) è il ritratto di tutto quello che non funziona nel nostro sistema giudiziario. Il caso è iniziato accusando Vitaly Markiv di aver sparato con dei mortai su tre giornalisti, Rocchelli, Mironov e Roguelon che si trovavano a Sloviansk, una città nella parte orientale dell’Ucraina controllata dai ribelli filo-russi a 2 km dalle postazioni Ucraine situate su una collina che stavano difendendo. Roguelon, unico testimone, ha parlato inizialmente di mortai, ma siccome l’imputato non aveva accesso ad essi si è deciso che aveva usato un Ak-47.
Il tutto all’interno di un conflitto a fuoco, come riportato in un video da Mironov purtroppo non ammesso al processo. Da questo video si dimostrava chiaramente come fosse impossibile che si trattatasse di un attacco di cecchini. Ma il Tribunale ha deciso di non ammettere la prova.
Ora, un Ak-47 può, effettivamente, tirare a 2000-2500 metri. In tiro parabolico. Forse. E senza forza cinetica per poter bucare una cassetta della frutta. Con le munizioni giuste. La vera domanda è perché farlo su tre figure che qualcuno afferma lui abbia riconosciuto come giornalisti. Infatti nel processo la soluzione adottata è che lui avrebbe provato a colpirli con la sua arma automatica, avrebbe fallito e poi avrebbe comunicato la posizione (tramite il suo comandante) all’esercito Ucraino che poi avrebbe aperto il fuoco con i mortai. Ma c’è la prova che lo ha fatto? No. Non c’è nessuno che possa dirlo. D’altronde, ripeto, non c’è nessuno che dica di averlo visto sul posto. Eppure, siamo di fronte ad una condanna. Ma perché?
Perché ogni caso ha bisogno di un colpevole. E dei 140 Ucraini presenti sulle colline lui è l’unico che abbiamo a disposizione. E siccome nella gerarchia di comando era abbastanza in alto per aver potuto, in effetti, dare l’ordine di far fuoco allora, presumendo che fosse davvero là, è un colpevole passabile. Quindi la mente umana unisce i puntini e decide che siccome questa è l’unica possibile che porti ad una conclusione, allora deve essere vero. Come diceva Arthur Conan Doyle “tolto l’impossibile, quel che resta deve essere vero”. Ed è, ovviamente, una colossale fesseria. Tolto l’impossibile resta il vasto mare del “non lo sappiamo”.
Commenta la vicenda il Consigliere Vassallo, che si sta spendendo molto perché la verità emerga:
“ Vitaly Markiv è un giovane padre di famiglia, un patriota ed un innocente finito nella macchina letale della nostra giustizia. Quello che non è, a prescindere dalla verità giudiziaria, è un assassino. Questa surreale vicenda fatta di condizionali e condizionamenti, in cui nessuno lo ha visto sparare, non si è mai trovata l’arma del delitto, in cui non c’è una impronta digitale o un testimone diretto della spratoria che abbia visto l’arma fare fuoco si spera possa concludersi nella migliore maniera possibile. Per parafrasare Enzo Tortora: egli è innocente, speriamo lo siano anche i giudici”.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,
L’accusa non tiene in considerazione il fatto che quella zona era zona di Guerra. Oltre a ciò Markiv, in quantocittadino ucraino inquadrato nel esercito, compiva il suo dovere costituzionale. Non era a conoscenza della presenza di tre giornalisti, o supposti tali, in zona. Tanto più che la loro provenienza era dalla zona dei miliziani filorussi e senza indossare nessun segno che li distinguesse come stampa. .
Mi chiedo se al posto di un militare ucraino ce ne fosse uno russo se sarebbe la stessa cosa.Personalmente ne dubito fortemente.