C’era un Paese dove un giorno si decise che la cultura era diventata contagiosa, e che produceva sui virus un effetto moltiplicatore, e che rappresentava un vero pericolo per la salute collettiva, e che sarebbe stato saggio renderla innocua, segregandola in una collocazione inoffensiva. In realtà era accaduto già in passato, in quel Paese e in altri, in quel tempo e in altri, che la cultura fosse considerata un vero pericolo per la salute collettiva, difatti c’è chi aveva organizzato roghi di libri, chi l’aveva sottoposta a tetragoni sistemi di censura, chi le aveva negato gli strumenti finanziari per esistere, ne aveva represso e malversato i produttori, chi ne aveva smentito le proprietà di nutrimento, dichiarandola letteralmente non ommestibile (“la cultura non si mangia”), e dunque disutile al sistema. In realtà in tanti, in quel Paese e in altri, avevano nei secoli lavorato perché la cultura diventasse davvero contagiosa, di questo avevano fatto la speranza di una vita. Era uno stuolo di filosofi, scrittori, insegnanti, teatranti, poeti, musicisti, cineasti, gente che riusciva a tirar fuori da sé una specie di linfa vitale gialla e densa come l’oro, un prezioso miscuglio di pensiero, di racconto, di apprendimento, di sorriso, di stupore, di incanto, di sguardo, di sogno e di tutto quanto di meglio ci sia al mondo; tutto questo era riuscito a rendere milioni di persone più belle e più felici, e aveva migliorato notevolmente la vita di tutti e di ciascuno. Non siamo tra quelli che si accigliano davanti al rigore dei provvedimenti necessari per contenere questa pandemia che si è abbattuta nuovamente sulle nostre vite come un nemico incarognito dalla resistenza.
Siamo invece tra quelli che ritengono sia necessaria, opportuna e accettabile ogni forma di contenimento, anche quelli che comportano e comporteranno sacrifici durissimi e la sospensione di alcune libertà. Quel che ci colpisce e ci rattrista è altro. È la gerarchia di priorità nella scelta delle libertà da reprimere. È il fatto che le prime libertà a cadere siano quelle che riguardano cinema, teatri, scuole. È il retro pensiero insopportabile che da tutto ciò trapela: l’idea che in cima alla lista del superfluo siano stati messi attività e valori che invece racchiudono la qualità e il senso di una vita degna di essere vissuta. Che vita è una vita senza il sogno, la memoria, la poesia, il sorriso, il pensiero? Quanto questa struttura di doni e di talenti potrebbe aiutarci a convivere meglio con ciò che sta accadendo, a galleggiare senza sprofondare nella palude che rischia di inghiottirci e trascinarci giù, all’inferno? L’inferno è il luogo dove si aggirano entità disperate senz’anima e senza futuro. La nostra anima è il nostro futuro sono anche nella bellezza dell’apprendimento, della scoperta, della creatività, della gioia di goderne come di un respiro lungo, un grande dono. È ciò che distingue un uomo da un altro. Ciò che potrebbe rendere più sopportabile ciò che sta accadendo. Ciò che potrebbe dargli un senso, magari persino aiutarci a fare in modo ne non accada più.
Blog Marida Lombardo Pijola Giornalista e scrittrice
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