Dalla pandemia e dalla recessione si esce imparando a dire “noi”

Attualità

Dalla pandemia si esce imparando a dire “noi”, suggerisce un sapiente uomo di teatro, Claudio Longhi, da poco nominato direttore del “Piccolo” di Milano. Una scelta civile, un’indicazione di comunità, prima ancora che un programma culturale, facendo sicuramente buona memoria di una lezione fondamentale di Paolo Grassi, che del “Piccolo” era stato fondatore: “Il teatro è il luogo dove una comunità liberamente riunita si rivela a se stessa… dove ascolta una parola da accettare o da respingere”. Il teatro come luogo del “noi”, appunto, fondamentale proprio in questa durissima stagione di crisi, nell’incrocio tra pandemia da Covid-19 e recessione, dolore per la salute ferita e depressione da isolamento. Dire “noi” sulla scena pubblica, anche se le sale teatrali sono chiuse, come tutti gli altri luoghi della cultura in pubblico. Questa parola straordinaria, “noi”, ha anche il suono di un violino. Quello di Salvatore Accardo, che ha regalato una masterclass al Conservatorio di Cremona, facendo lezione ai giovani musicisti sulle dieci Sonate per violino e pianoforte di Ludwig van Beethoven e trasmettendo tutto in streaming sul sito Facebook e sul canale Youtube del Conservatorio stesso, visto che in pubblico non può entrare ad ascoltare. Fare musica come gesto comunitario, anche in questo caso. Fare musica “per non stare dalla parte del flagello” del virus e della solitudine, ricordando la bella citazione da “La peste” di Albert Camus.

“Noi”, come aprire una libreria e uno spazio sociali in periferia, come succede a Milano. “Noi”, come fare bene il proprio lavoro di medici e di infermieri, anche se in condizioni nuovamente drammatiche e, stavolta, con il coro negativo degli “odiatori” sui social media, che, negazionisti irresponsabili del virus, attribuiscono agli operatori sanitari complotti e misfatti. “Noi”, come investire le risorse delle fondazioni come la Cariplo di Milano e la Compagnia di San Paolo di Torino per dare sostegno ai gruppi del volontariato e delle organizzazioni non profit del Terzo Settore, che aiutano i soggetti più fragili, gli anziani, le donne sole, i giovani devastati dal disagio sociale. “Noi”, come fare scuola e, tra l’altro, dare risposte ai 300mila studenti che sono senza computer né Internet e dunque tagliati fuori da qualunque insegnamento a distanza. “Un Paese serio deve fare del contrasto alla povertà educativa minorile uno dei suoi compiti prioritari. È da lì che nasce lo sviluppo. Noi abbiamo messo in campo un vasto programma nazionale di interventi che ha raggiunto quasi mezzo milione di ragazzi”, racconta Francesco Profumo, presidente dell’Acri (l’associazione delle ex Casse di risparmio e adesso delle fondazioni di origine bancaria, “agenti di sviluppo radicati nel territorio”) e, appunto, della Compagnia di San Paolo. Nell’Italia inquieta, lacerata, impaurita, accanto alle piazze incendiate da proteste strumentalizzate da gruppi estremisti e clan criminali, nel Paese percorso dalle tensioni di un disagio sociale crescente, si muovono associazioni e gruppi che, al di là degli interessi personali e di categoria, guardano con preoccupazione ai valori della tenuta sociale, organizzano iniziative e fanno scelte per la ripresa.

C’è la protesta, che ha radici in una disperazione diffusa: “Nella notte milanese, si presenta questa verità minima, ai margini prossimi di una chiusura di tutto, di un lockdown morale e fisico. Viviamo il tempo del focolaio e ci incendiamo” (Giuseppe Genna su “L’Espresso”). E c’è la proposta, come l’accordo tra governo, Confindustria e sindacati per spostare al 31 marzo il blocco dei licenziamenti e allungare il periodo della cassa integrazione per imprese e lavoratori in difficoltà, in attesa di decidere bene come riformare gli ammortizzatori sociali per chi perde il lavoro e va formato e riqualificato per trovarne un altro e come definire i progetti di investimento per i fondi del Recovery Fund della Ue: interventi d’emergenza e investimenti di lungo sviluppo. Scelte urgenti per salvaguardare un indispensabile bene comune, la coesione sociale. E strategie responsabili di lungo periodo. Ancora una volta è il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a farsi carico della responsabilità di indicare al governo e alle forze politiche l’importanza di lavorare per l’unità della nazione, evitando “le troppe divisioni”: “Basta con i personalismi. La salute è un bene comune”, ha detto l’1 novembre, durante una visita al cimitero di Castagnato, in provincia di Brescia, davanti al monumento per le vittime del Covid. Mattarella conosce bene quest’Italia, contemporaneamente livida e generosa. Non ne sottovaluta il disagio né le fonti di un distorto rancore. Ma sa, e ripete, che il clima da “tutti contro tutti” non consente alcuna soluzione alla crisi. Serve buon governo, con una visione comune di lungo periodo, senza risse pretestuose né tentazioni solitarie nei palazzi del potere. È proprio il Quirinale, oggi, il miglior interprete delle buone ragioni del “noi”. 

Blog  Antonio Calabrò  Giornalista, scrittore e vicepresidente di Assolombarda

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