Violenza collettiva
Bisogna ricorrere all’antropologia e alla teoria sociale per comprendere le dinamiche profonde che attraversano le società alle prese con la crisi da Covid-19 e per tentare una riflessione sul cosa ci aspetta dopo la pandemia. Altri lo hanno già fatto, ma è opportuno e urgente riprendere e approfondire la discussione. Qualche decennio fa, in una serie di opere tra cui La violenza e il sacro (1972) e Il capro espiatorio (1982), René Girard spiegò come nella crisi causata dalle epidemie si manifesti esemplarmente una costante antropologica tipica del funzionamento delle comunità umane: il capro espiatorio. In una situazione di crisi, il capro espiatorio è l’oggetto della violenza collettiva. Il tutti contro uno scarica le tensioni esistenziali e sociali e garantisce la tenuta e la rifondazione della comunità.
Combattere il nemico
Il meccanismo del capro espiatorio è all’opera quando i politici definiscono il Covid-19 come il virus cinese. Oppure quando si accusano i cinesi, i filippini (perché scambiati come cinesi), i migranti, i runner, o i vicini avvistati in giro e coloro che nei boschi raccolgono funghi o asparagi selvatici (denunciati alle forze dell’ordine in stile Stasi, la famigerata polizia della Germania dell’Est), i giovani indisciplinati della movida e infine coloro che protestano contro le recenti decisioni del governo. Tutti presunti untori su cui scaricare rabbia, impotenza, frustrazione. Il meccanismo del capro espiatorio è all’opera anche nella trasformazione del linguaggio. Combattiamo, ci viene detto, una ‘guerra’ contro un ‘nemico’ che richiede un ‘coprifuoco’ e eroi disposti a immolarsi in ‘prima linea’: il sacrificio. L’ordine simbolico vira verso l’immaginario di guerra e prefigura un futuro da incubo. Ci aspetta il quotidiano conteggio dei corpi e la sepoltura di eroi e martiri. I poveri saranno più poveri, schiere di operai perderanno il lavoro e i piccoli artigiani e i commercianti saranno strangolati dalla crisi e ‘salvati’ (inglobati) dalle multinazionali a cui la situazione emergenziale garantisce profitti da favola.
La vera lotta
Il virus a cui abbiamo dichiarato guerra è il capro espiatorio che ci discolpa e ci purifica. E che maschera la realtà. La colpevolizzazione di comportamenti individuali privi di effetti epidemiologici — il runner sulla spiaggia, il raccoglitore di funghi nel bosco con il cane — nasconde i devastanti ritardi del potere politico e economico nel settore sanitario (la distruzione sistematica della medicina del territorio), scolastico, dei trasporti, della sicurezza del lavoro. Nasconde che lo stare a casa — come invitano a fare i personaggi noti da appartamenti e ville da favola provvisti di idromassaggio e campi da tennis — per molti significa stare in case anguste e prive della tecnologia che consenta ai ragazzi un agevole accesso alla didattica on-line. Che le proteste di Napoli, Roma, Milano — su cui certo speculano i soliti idioti del terrore — sono alimentate anche da tanta gente per bene che vive un disagio reale. Nasconde che noi umani siamo gli aggressori. Che la violenza contro la Natura ha generato drammatici cambiamenti climatici e l’estinzione delle specie viventi. Che noi umani siamo la specie patogena pandemica per eccellenza.
Il dono sovrasta le barriere
Eppure, possono esserci altre risposte alla crisi, anch’esse legate a una pratica antropologica che, al di là delle contingenze storiche, rimane costante nelle società umane: il dono. Il dono, spiegava Marcel Mauss in un saggio del 1923-1924, è un fatto sociale totale perché unisce pratiche, meccanismi di funzionamento e cornici di senso della società nel suo complesso. Ha risvolti legali, sociali, economici, religiosi, morfologici, politici e persino estetici. Crea legami sociali e relazioni morali, materiali e simboliche che vincolano e uniscono chi dona e chi riceve. L’economia del dono è all’opera quando si sostiene la solidarietà e il senso di appartenenza alla comunità con il canto dai balconi; quando si fa volontariato e si accettano turni massacranti in ospedale o in azienda, oppure quando si acquista la pasta per i vicini e i biscotti per i loro bimbi (spesa solidale). L’economia del dono si manifesta anche nelle risposte istituzionali: la sospensione delle cartelle esattoriali, le misure (sebbene frammentarie) a favore di lavoratori e artigiani, il blocco dei canoni di locazione e degli sfratti. In questo caso si dona, ovviamente, anche per evitare proteste e promuovere l’armonia sociale. E con l’aspettativa che i doni vengano restituiti con gli interessi. In ogni caso, direbbe Mauss, l’umanità non è solo ‘homo oecomomicus’. Al di sotto della finanza, dell’economia e degli scambi di beni e servizi quantificabili in moneta esiste una pratica antropologica universale che consiste nello scambio di doni intangibili e senza prezzo: tempo, cure, spirito.
Ritorno al futuro
Cosa ci riserva il futuro? Mauss o Girard? Il nuovo ordine post-pandemia sarà un neo-liberismo autoritario neo-darwinista e malthusiano, introdotto in condizioni di emergenza e normalizzato, un regime bio-politico in cui si dispiegheranno tecniche per la sottomissione di corpi e menti? Oppure sarà l’occasione per rallentare e riflettere sulla vulnerabilità del pianeta e degli esseri viventi e sulla necessità di ricostruire il tessuto della comunità, per riscoprire l’importanza del dare, ricevere e contraccambiare, e per ristabilire legami significativi con il mondo e con gli altri? La devastante crisi approfondita dalla pandemia potrebbe essere l’occasione di un nuovo ciclo di misure neo-liberiste — proprio ora che i capisaldi delle teorie economiche in voga da 40 anni sono sconfessate persino dal tempio dell’ortodossia, il Fondo Monetario Internazionale. Il disastro sociale ed economico potrebbe essere seguito da nuove misure di precarizzazione del lavoro e ulteriori tagli alla sanità; dalla chiusura di scuole e università a favore delle piattaforme per la didattica on-line; dalla chiusura (lockdown) delle piazze (lo spazio fisico e simbolico del confronto democratico); dal disciplinamento della democrazia entro un permanente stato di eccezione, come accade già in Ungheria. Con la crisi, scriveva Milton Friedman, il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile.
Un circolo vizioso
Eppure c’è un alternativa. Si dovrebbero recuperare le tradizioni che Mauss considerava i fondamenti morali dell’economia e della società, abbandonare l’egoismo e l’individualismo del mercato e del capitalismo e abbracciare una nuova etica fatta di rispetto e generosità, di cura. Si dovrebbe re-incastrare l’economia nella società—scrive l’antropologo Marco Aime, fine conoscitore di Mauss—perseguire l’equità fiscale e indirizzare le risorse verso il bene comune. Si dovrebbe preservare la Terra e la materia di cui è fatta, impedendo che venga trasformata in oggetti inutili e inquinanti, venduti per soldi, esposti per vanità e consumati per danneggiare la salute. Si dovrebbe, spiega una ricerca dell’Università del Sussex pubblicata da Nature, arrestare il circolo vizioso della produzione e del consumo che ci condanna al panico ogni volta che la crescita si arresta. E promuovere invece un sistema resiliente e sostenibile in grado di proteggere il pianeta e gli umani.
Il limite che la Natura ci impone
Un ordine sociale autentico non può reggersi sul sacrificio rituale — una forma perversa di scambio — ma solo su legami di dono. Solo così potremo abbandonare la vita di falsità e vivere nella verità — direbbero Vaclav Havel e Michel Foucault — vivere una vita sincera e cosciente dei limiti, sul pianeta che ci è stato dato come un ‘dono’, da un potere fuori dal nostro controllo, come Natura. La pandemia è un fatto sociale totale, come il dono. Solo nello studio dei fatti sociali totali, sostiene Mauss, è possibile cogliere i germi del futuro e il cammino che le società dovranno intraprendere. Non è detto che saremo migliori quando la pandemia sarà lavoro per gli storici. Non ci resta che attendere e osservare. Il futuro, presto, arriverà. Ho scritto queste note dopo aver discusso di pandemie nella storia con i miei brillanti, acuti, esigenti studenti e studentesse del corso di Global History (MA in Global Management and Politics, Luiss). Mi corre l’obbligo di ringraziarli per il loro spirito critico e disponibilità al confronto e al dialogo. La responsabilità di quanto scritto è ovviamente interamente mia.
Blog a cura di Rosario Forlenza, Assistant professor di Storia Contemporanea e Antropologia Politica al dipartimento di Scienze Politiche, Luiss)
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845