Cosa non si fa per avere la Presidentessa

Attualità RomaPost

Due di notte, ora italiana, giovedì 5 novembre, sono passati due giorni dall’election day americano. Non c’è ancora un vincitore, afferma l’Associated Press. Lo sfidante  Biden ha già 264 grandi elettori, il presidente Trump solo 214, quindi al democratico mancano solo 6 grandi elettori per varcare la soglia del successo dei 270. D’altro lato se nei 12 stati ancora pending, venissero confermate le tendenze (non i sondaggi), dello spoglio in corso, Trump vincerebbe per 356 grandi elettori a 311. 4 anni fa l’AP alle due e mezzo del martedì, mentre era ancora notte, notificò la vittoria del Donald. Nel 2020 forse ci vorrà tutta la settimana.

Queste elezioni confermano che sondaggi e sondaggisti sono inutili, oltre che dannosi. Per rincuorarsi i democratici da un anno si facevano forti di previsioni di vittoria di Biden a valanga; ancora più smentiti dei tempi di Hillary. Gli Usa sono nel loro corpaccione sciovinisti e nelle ali, puritani progressisti. Quasi dovunque però c‘è stato un testa a testa divisorio e le minoranze inserite socialmente hanno votato per l’accusato di razzismo. Oltre ai sondaggisti anche i giornalisti si sono rivelati inutili; incapaci di leggere la realtà oltre il fumetto. Al prossimo giornalista di cronaca che finisce spiegando perché bisogna votare per l’uno invece che per altro, si tolgano tessera e posto oppure lo si qualifichi per galoppino elettorale.

Nessuno parla più degli hacker russi che sabotano le elezioni. E’ chiaro a tutti che i social che dominano la vita normale, hanno conquistato anche quella elettorale. Con Obama era l’agorà democratica; ma se il suo partito perde, allora la rete diventa un pericolo per la democrazia. E’ sempre più evidente che i media non sono orientati al governo del popolo, ma sul popolo. Non chiedono mai scusa se sbagliano; e sbagliano quasi sempre. Smettono di parlare dell’argomento su cui hanno toppato. Bene quindi che chiudano o vengano relegati in un angolo.

Tutto ciò è abbastanza scontato. Come il fatto che Trump proverà di tutto per non perdere, anche le vie legali. Da 40 anni i progressisti usano le vie legali, invece che la via politica montando strutturalmente casi, con l’intento di provarci. Qualche volta gli va bene, altre no. Ottimo che si cominci a applicare loro la stessa moneta. Le due cose importati  di queste elezioni sono altre.

La prima è che gli Usa hanno di nuovo bisogno di un nemico per ritrovare unità perché sono sull’orlo di una guerra civile all’interno della quale ce n’è una peggiore che vede in prima fila violenti neri sbandati di periferia contro la maggioranza nera di poliziotti violenti. Il nemico probabilmente sarà la Cina verso la quale i democratici proseguiranno sorprendentemente la politica trumpiana.

La seconda è più squallida. Rivela la miseria morale democratico progressista. E’ la strategia per portare una donna alla casa Bianca. Malgrado il mantra di decenni, in Occidente, a parte gli scandinavi, disinteressati di politica, da quando l’orso russo non li guarda, nessuno crede al primato femminile né in politica, né in nessun campo. Nemmeno nella moda o in cucina. Di più, nessuno crede che siano particolarmente brave; anzi si ritengono le brave un’eccezione. Le più note sono inquadrate come furbe che cercano di avvilupparsi in una bandiera di fazione, per divenire un tutt’uno con essa. A parte queste due tipologie, le donne, e le loro carriere, vanno sempre pecorone dietro un uomo. E non è neanche un difetto.

In Usa la donna più potente di una famiglia presidenziale, con miliardi, con in mano tutto l’apparato federale e metà di quello degli stati, con tutti i media e le tv, non ha vinto. Semplicemente perché gli americani non vogliono. Non vogliono gli sciovinisti, ma non vogliono neanche gli ispanici, i gay, i neri e gli asiatici. L’America è danaro e quante donne ci sono tra i primi dieci ricchi? Nessuna. Tra i secondi dieci, nessuna. La prima è un’ereditiera. Tutti ricordano come una donna AD abbia distrutto Yahoo.

Si capisce allora la scelta di Biden che, a metà primarie democratiche, era un comprimario; non contava chi mettevi contro perché le elezioni Usa non sono la lotta tra Trump e Biden; ma sono la guerra tra Trump ed una massa indistinta di antitrump. Come in Italia il fronte antiberlusconiano non ci ha consegnato un nome che oggi torni alla memoria; ma solo il ricordo di una massa grigia di odio e veleno da guerra civile, contro una figura ben presente e coerente come Berlusconi.

Biden è veramente un vecchio malato, malandato, cui è morta tutta la famiglia, che ha fatto una campagna elettorale in assenza, con la scusa del Covid, in realtà senza fiato. In politica da 50 anni, è sempre stato un peone, senza un guizzo, un’idea, un progetto. Come Veltroni, numero due di D’Alema e Prodi, Biden è stato sempre un secondo fino a fare lo zio Tom bianco di Obama. Non reggerebbe a due anni di presidenza; e l’idea però è proprio quella, che non regga fisicamente. Verrebbe dimenticato in un battibaleno per aprire le porte della Casa Bianca alla quasi 60enne giamaicanindùamericana Kamala Devi Harris, giudice e senatrice californiana, quella che a seconda delle circostanze politiche si trasforma in un jolly democratico ora ispanico, ora nero, ora palestinese, oppure asioamericano, nativamericano, latino. La Pelosi sarebbe stata l’opzione migliore ma ha un tratto ben preciso, italoamericano; e comunque la seconda dietro a Biden non l’avrebbe mai fatta.

La Harris guida un gruppo ed un trend di donne più giovani di lei, che va dalla 28enne bella portoricana Ocasio-Cortez, già cameriera ed ora confermata deputata newyorkese; alla 29enne somaloamericana Omar, già musulmana richiedente asilo e deputata del Minnesota; alla 45enne nera Pressley, già lavorante in albergo e deputata del Massachussets; alla 42enne americopalestinese Tlaib, madre single, musulmana ed avvocato, deputata del Michigan. Tutte sostenute dai Kennedy, Sanders, Kerry e tutte incredibilmente rappresentanti l’America più settentrionale e bianca. I white sono l’80,4% in Massachussets, il 79% in Michigan, l’89% in  Minnesota ed il 50% a New York, dove latino e neri sono il 30%; gli arabi una minoranza da 1% mentre i musulmani da 0,3%. Il trionfo della iperappresentatività.

Certo, il voto d’opinione può orientarsi verso rappresentati centrifughi. La ribalta filofemminile si è nutrita in campo democratico di uno stressato e stressante fortissimo ideologismo femminista che legge ogni cosa con gli occhiali da me-too. Dopo che l’omonimo movimento ha mezzo distrutto il cinema, facilitandone la scomparsa nello streaming, ed estremizzato le questioni politiche, ora va all’assalto dell’economia. Contando magari di convertire la Cina al commercio equo e sostenibile.

Le contorsioni ideologiche hanno portato i democratici alla conclusione aberrante di portare di soppiatto alla guida del paese un essere perfetto, indigeribile dall’elettorato. Come in una cultura della razza rovesciata, l’essere supremo deve essere donna, immigrata, nativa, non bianca al quadrato, meglio se giudice di casi di stupri e di minori. Questa perdita di senno però non potrà che alla lunga rafforzare tremendamente il trumpismo, o meglio il buon senso, esasperando la situazione verso reazioni dolorose.

2 thoughts on “Cosa non si fa per avere la Presidentessa

  1. Un analisi davvero interessante per questo momento topico per USA ed il mondo intero! Vedremo chi l’ha dura la vince…

  2. ”Malgrado il mantra di decenni, in Occidente, a parte gli scandinavi, disinteressati di politica, da quando l’orso russo non li guarda, nessuno crede al primato femminile né in politica, né in nessun campo” …. E la Merkel allora?

    ”Di più, nessuno crede che siano particolarmente brave; anzi si ritengono le brave un’eccezione.” …. Sono stati gli imprenditori ad assume donne in ogni ruolo per calmierare gli stipendi maschili.

    Per il resto è chiaro che il presidente sia La Kamola.

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