«La salute è uno stato precario dell’uomo che non prevede niente di buono». Lo scrisse l’inquieto Guido Ceronetti e il suo aforisma è sempre attuale, anche se ce ne ricordiamo solo al bisogno, quando una malattia interrompe la nostra favola bella di un’umanità che ormai viaggia nello spazio, ma ancora non sa come tenere a bada un nemico invisibile e così piccolo che in un millimetro cubo potrebbero essercene diversi miliardi. La difesa risolutiva la stanno cercando gli scienziati nei laboratori di mezzo mondo, e non vediamo l’ora che la trovino. Nell’attesa dobbiamo fare in modo di non incontrare il nemico, sapendo che abbiamo solo tre modi per tenerlo lontano: indossare la mascherina, lavarci spesso le mani e stare ben distanziati per evitare di passarcelo tra di noi, visto che il virus ci utilizza come staffette. La cosa che stupisce – e mette un po’ in crisi la nostra supponenza di uomini del terzo millennio – è che queste armi di prevenzione di massa sono le stesse che venivano consigliate nel 1918-19 per sfuggire all’influenza Spagnola. Sembra un C’era una volta, ma questa è la realtà. Altrettanto sorprendente è scoprire che, a fronte dei suddetti ordini e consigli dei responsabili politico-sanitari, il pubblico si comportò come stiamo facendo oggi noi, più male che bene. In un secolo non siamo cambiati granché. Lo testimoniano le cronache, le foto e i disegni pubblicati allora, soprattutto dai giornali statunitensi, perché nei Paesi europei impegnati nella Grande Guerra la censura oscurò l’informazione sull’epidemia. In Italia non esisteva affatto, erano solo voci false e tendenziose, dichiarò ufficialmente il nostro Presidente del Consiglio dei Ministri. Nei decenni successivi, il ricordo della Spagnola fu rimosso e non compare nemmeno nei libri di scuola dei giorni nostri, sebbene abbia mandato all’altro mondo 600.000 italiani, su 36 milioni. Tanti quanti morirono nella Grande Guerra.
I medici italiani inventarono la prima mascherina della storia
Quasi tutte le misure di protezione messe in atto durante le epidemie in epoca moderna hanno radici che risalgono al XIV secolo quando, durante le epidemie di peste, i medici italiani – che come tutti gli altri non sapevano ancora nulla di virus e batteri – cominciarono a indossare maschere protettive a forma di becco adunco, con due buchi all’altezza delle narici, riempite di erbe medicinali e balsamiche di una cinquantina di tipi diversi. Con questo filtro vegetale tentavano di depurare l’aria appestata e farla arrivare al naso profumata, convinti che questo potesse evitasse il contagio. L’idea fu ripresa e perfezionata nel 1630 dal medico francese Charles de Lorme, il quale ideò la tenuta completa del medico della peste: maschera a becco attaccata a un cappuccio dotato di un paio di occhiali di vetro, un lungo mantello di tela cerata per rendere l’abito idrorepellente, stivali, guanti, cappello e bastoncino utilizzato per tenere a debita distanza l’appestato e potergli comunque spostare gli indumenti per verificarne le condizioni senza avvicinarsi troppo. Quindi: maschera, veste lavabile, guanti e distanziamento. Non male. Peccato però che non servisse allo scopo, perché la peste non viaggiava nell’aria coi cattivi odori, ma la trasmettevano le pulci dei topi. Un errore che comunque scrisse la prima pagina della storia delle mascherine.
Una signora di San Francisco fondò la Lega anti-mascherine
Mentre San Francisco era sotto il maglio dell’epidemia, la signora E.C. Harrington, convinta che l’obbligo imposto ai cittadini di indossare la mascherina fosse un affronto incostituzionale ai principi di una società libera, fondò la prima Anti-Mask League della storia. L’organizzazione fece in breve tempo qualche migliaio di sostenitori che protestavano per le multe inflitte a chi veniva trovato senza mascherina (5 o 10 dollari che venivano devoluti alla Croce Rossa) e a chi reagiva in malo modo agli inviti della polizia a indossarla. Il nervosismo generale provocò anche qualche eccesso in entrambi gli schieramenti: un ufficiale prese a pistolettate tre contravventori, mentre i no-mask spedirono per posta una bomba al dottor William C. Hassel, responsabile della salute pubblica, ma il postino sbagliò indirizzo e l’esplosione non provocò vittime. Alla fine, le manifestazioni dei contestatori delle mascherine contribuirono a creare una situazione fuori controllo, che provocò in città 45.000 infezioni e 3.000 morti, mentre i contagi aumentavano in tutto il Paese. A Filadelfia si preparava la grande sfilata dei soldati in partenza per l’Europa e le autorità pensarono di annullarla per evitare assembramenti e contagi, ma poi cedettero alle pressioni della cittadinanza. Le truppe furono autorizzate ad attraversare la città tra due ali di folla assiepata sui marciapiedi e fu una gran festa, ma al termine della parata tutti gettarono via le mascherine, e pochi giorni dopo la Spagnola si prese la rivincita dando a Filadelfia il primato dei morti negli Stati Uniti. Nella foto, manifestanti pro-mascherina che augurano il carcere a chi non la indossa. (fonte Gazzetta di Parma)
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