Per quanto riguarda la nostra politica economica e le misure da adottare per contrastare la seconda ondata della pandemia, meglio una strategia omeopatica alla Gualtieri, oppure fare finalmente del “front loading”, ovvero caricare nella Legge di Bilancio tutto e subito, mettendo tutto il fieno in cascina necessario per gestire l’ultimo scorcio del 2020 e per avere le risorse fino alla prossima estate, quando arriveranno gli anticipi del NGUE Fund? Meglio procedere di decretino ristoro in decretino, sempre rincorrendo la crisi prodotta dai lockdown a geometria variabile, oppure decidere subito 50 miliardi di “scostamenti” per i dovuti risarcimenti, indennizzi e ristori, ma anche per più investimenti e più occupazione? Ecco, questa potrebbe essere la grande occasione per una nuova politica economica. Ce lo chiede la Banca Centrale Europea e, con straordinari tempismo e sensibilità, il presidente della Repubblica Mattarella, a nome di tutti gli italiani. Anche perché la Banca Centrale Europea potrebbe offrire un sostegno di acquisti meno generoso ai governi indebitati dal mese prossimo, quando dovrà decidere su un ulteriore pacchetto di stimoli monetari, con l’obiettivo di forzare quegli stessi Paesi a chiedere i loans messi a disposizione dell’Unione Europea e legati agli investimenti produttivi previsti dal Next Generation UE. Nonostante la BCE abbia promesso, recentemente, di introdurre ulteriori misure dal prossimo dicembre per aiutare i paesi della zona euro a far fronte alla seconda ondata della pandemia da coronavirus, ai banchieri centrali non deve affatto essere piaciuto l’atteggiamento che gli stati più indebitati dell’eurozona (soprattutto quelli del Club Med) hanno assunto sul problema del finanziamento e della riduzione dei loro debiti. Atteggiamento questo che avevamo più volte descritto come un gigantesco “azzardo morale”, o ricatto, fatto dagli stati indebitati nei confronti della BCE, in totale contrasto con i fondamentali teorici sempre evocati da Mario Draghi che, pur essendo il banchiere che ha lanciato per primo il programma eccezionale di allentamento monetario, ha da sempre sostenuto che politica monetaria e politica di bilancio sono due facce della stessa medaglia, e che la prima, da sola, può fare ben poco per risollevare l’economia reale dalla crisi, se non accompagnata pienamente dalla seconda. La teoria antagonista a quella di Draghi è quella recente, e un po’ improbabile, del sovranismo monetario, sostenuta da noi dagli esponenti della Lega Claudio Borghi e Alberto Bagnai, secondo la quale il programma d’acquisto straordinario di titoli di Stato della BCE sarebbe sufficiente per permettere ai “Tesori nazionali” di emettere tutti i bond che vogliono, giocando sul fatto che tanto, alla fine, la BCE finirà con il monetizzarli. Il corollario di questa teoria è altrettanto semplice: visto che la BCE acquista tutto, per quale motivo ricorrere ai prestiti messi a disposizione dall’Europa, subordinati alla realizzazione di faticose e impopolari condizioni e riforme?
Proprio questo atteggiamento opportunistico e irresponsabile avrebbe fatto irritare i banchieri di Francoforte, che a questo ricatto e “cattura” da parte degli Stati non sono più disposti a sottostare. Inoltre, l’eventuale non richiesta dei fondi europei da parte degli Stati più bisognosi e indebitati suonerebbe come una clamorosa sconfitta politica per la Commissione Europea e le istituzioni comunitarie, le quali hanno investito un elevato capitale politico per dotare (finalmente!) l’Europa di strumenti di mutualizzazione del debito e delle relative risorse. E ora, proprio quegli stati del Sud (tra i quali l’Italia) che hanno da sempre richiesto questa mutualizzazione sarebbero i primi a non volerla?! Un paradosso che rischia di far perdere qualsiasi credibilità e reputazione non solo alla Banca Centrale ma alle stesse istituzioni comunitarie. Quale credibilità potrebbe infatti più avere la Commissione Europea, se una volta emessi i suoi loans nessuno stato li chiedesse? Con quale coraggio, per esempio, l’Italia potrebbe tornare a chiedere ai paesi “frugali” la mutualizzazione dei debiti, se fosse il primo stato a non volerlo utilizzare, accettando solo graziosamente i grants (a fondo perduto)? E così, sempre stando a quanto si sa, i banchieri di Francoforte starebbero discutendo se la BCE debba estendere il suo PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme), che le conferisce una flessibilità senza precedenti nell’acquisto di bond da qualsiasi paese in difficoltà, o il suo regolare e più restrittivo Asset Purchase Programme (APP), in base al quale gli acquisti dovrebbero rispecchiare le dimensioni relative di ogni paese. L’eccesso di generosità da parte della BCE, dunque, ha rischiato di mettere in crisi l’intera strategia di ripresa dell’Unione. Con tutte le conseguenze politiche, economiche e istituzionali già descritte. E così, la BCE intende ora porre fine a questo paradossale gioco a somma negativa. Per cui il messaggio che sta inviando ai governi nazionali sembra essere molto chiaro e assolutamente condivisibile. Prendere tutte le risorse messe in campo dall’Europa – dai loans del NGUE ai fondi MES, dal SURE ai fondi BEI per più riforme e più sviluppo – o perdere gli acquisti straordinari di bond. Una scelta che il Governo italiano potrebbe vedersi costretto a fare già nei prossimi giorni, magari dopo un pieno e responsabile passaggio parlamentare. E, diciamocelo francamente, sarebbe anche ora. I mercati non amano i furbi.
Nota dal blog di Renato Brunetta deputato Forza Italia
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