Holodomor, il genocidio che il mondo deve riconoscere

Esteri

Holodomor, il genocidio che il mondo deve riconoscere

Holodomor, in Ucraino, significa morte per fame. Nel corso del secolo forse più brutale della sotria, iniziato col genocidio Armeno, è una delle occasioni più brutali. È stato un massacro al rallentatore, durato due anni, 1932 e 33, ma le cui premesse furono messe già nel 1928. Ad architettarlo Stalin ed i comunisti sovietici, ansiosi di liberarsi dei piccoli proprietari terrieri. Ed in generale dei contadini Ucraini. Gente troppo saggia e concreta per credere nel paradiso socialista con la devozione tipica dei cittadini.

Per riuscirci si decise, con cinica ed efferata efficienza, di privare del raccolto per due inverni consecutivi la popolazione. Le requisizioni arrivarono al 90%, andando ad intaccare anche le riserve necessarie alla semina successiva. Il granaio d’Europa si trovò alla fame improvvisamente e senza scampo.

Il mondo oggi fatica a riconoscere questo atto disumano per ragioni squisitamente politiche, come avvenuto negli ultimi 7 decenni, peraltro. Noi però non dimentichiamo. Anche grazie all’opera silenziosa ma efficace di politici come il Consigliere di Municipio 7 Franco Vassallo. Ed oggi intendiamo dare voce alla comunità Ucraina in un giorno così importante. Non solo per loro. Ma per chiunque intenda definirsi una brava persona.

Dott. Yevhen SHKVYRA, Console Generale a.i. d’Ucraina a Milano: “Il quarto sabato del mese di novembre di ogni anno l’Ucraina e la comunità internazionale ricordano e rendono omaggio alle vittime dell’enorme tragedia che colpì il popolo ucraino negli anni 1932-33 – l’Holodomor, noto anche come Genocidio ucraino, la grande carestia artificiale, la quale causò la morte di oltre 4 milioni di persone.

Quest’anno ricorre l8 anniversario dell’Holodomor, lo streminio per fame provocato artificialmente dal regime staliniano contro la popolazione ucraina.

Noi ucraini siamo un popolo che cerca la verità storica, che afferma di voler stare insieme con tutte le altre nazioni del mondo, che riconosce la dignità e il diritto alla vita e alla libertà di ogni individuo e vuole approfondire lo studio della propria storia, raccontarla, spiegarla.

Siamo un popolo che vuole essere guarito dalle ferite del passato, vuole chiedere a tutta l’umanità di oggi e alle future generazioni di non permettere che una cosa simile accada ad altri in qualsiasi parte di questo nostro mondo.

Attualmente alcuni stati (oltre 20) hanno già riconosciuto l’Holodomor quale Genocidio del popolo ucraino e oggi ci auguriamo che anche l’Italia presto diventi uno di tali stati e che questa ricorrenza stimoli una presa di coscienza chiara e netta dell’opinione pubblica nei confronti di questo crimine contro l’umanità.

Ci rivolgiamo a tutti gli italiani non indifferenti di accendere oggi una candella per commemorare le vittime innocenti.

Ci rivolgiamo ai Consigli Comunali, Provinciali e Regionali di voler contribuire con la propria approvazione al riconoscimento dell’Holodomor quale Genocidio del popolo ucraino in senso di grande amicizia storica tra i nostri due Popoli.

NOI RICORDIAMO,

IL MONDO RICONOSCE…”

Panasiuk Vasyl Kalenykovych (Mizianski Khutory, provincia di Vinnytsia)

L’inverno fu troppo lungo. Tanti avevano le gambe gonfie, il viso tumefatto, le pance dei bambini erano grosse, mentre le braccine e gambette si seccavano. La gente crollavano come mosche, poi venivano raccolti e messi sul carro, portati al cimitero e là seppelliti – sotterrati senza una cassa da morto, senza un prete, spesso anche senza i famigliari, perché tutti ormai erano morti.

Tutti aspettavano il caldo, la primavera… credevano di poter sopravvivere. Quando arrivò la primavera mangiavano tutto il verde: le ortiche, il farinello ecc… Mangiavano tutto quello che vedevano…

Vanzhula Varvara Romanivna (classe 1917) (Mizianski Khutory, provincia di Vinnytsia)

Ricordo bene e non dimenticherò mai anni 1932-33. I rappresentanti del governo ci sequestrarono il raccolto, ci schernivano come volevano, sbattevano fuori dalle nostre case, frugavano nei solai, prendevano tutto e chissà dove portavano. Non furono armati, avevano solo le fruste e lunghi spilloni con i quali cercavano le persone e il cibo nascosto sotto i tetti di fieno. Fu impossibile nascondere qualcosa. Trovavano dappertutto, persino all’interno dei letti trovavano il grano, i veli, gli indumenti.

Portavano via anche i tavoli, panche e letti. Vidi arrivare una squadra, il fratello minore Sasha strillò. Questa squadra ormai era conosciuta da tutti nel villaggio. Giravano alla luce del sole, erano i ragazzi giovani, forti, appena entrati nel komsomol, dekulakizzavano e facevano soffrire la gente. Anch’io sono stata sbattuta fuori da casa, così piccola com’ero girovagavo nel villaggio piangendo. La gente mangiava quel che vedeva, quel che trovavano sotto mano: le foglie degli alberi, la corteccia, le patate marce, estraevano la fecola di patate e cucinavano le frittelle. Io fui più fortunata, perché lavoravo come una servetta, là mi davano il tè senza zucchero, qualchebzuppina e una piccola fettina di pane per tutto il giorno.

Una volta sentii la storia di una donna che cucinò il proprio figlio e lo mangiò. Però dicevano che

ormai fosse fuori di sé. Nel villaggio continuamente girava un carro, sul quale poggiavano la gente morta e quella viva, ma in fin di vita (per non tornare il giorno dopo per loro) e li buttavano in una fossa al cimitero. Oggi in quel posto neanche l’erba vuole crescere.

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