Ad ottobre lo stile di vita europeo si è contagiato con il coronavirus ed è finito in autoisolamento. Il commissario per la promozione dello stile di vita europeo, vicepresidente dell’Unione, il greco Margaritis Schinas, si è fermato, come la commissaria europea all’Innovazione e alla Ricerca, Mariya Gabriel, altra portatrice sana. Con gli Usa impegnati a giudicare in tribunale le schede elettorali presidenziali, l’Occidente è andato nel pallone, affidandosi con 16 miliardi (di cui 800 milioni per paesi poveri) alle uniche padrone del campo, le tredici aziende farmaceutiche, in fase 3 antiCovid, tra cui la britannica Astrazeneca, i francobritannici Sanofi–Gsk, le americane Moderna, Johnson & Johnson e Pfizer con le quali la Commissione europea ha già sei contratti per 160 milioni di vaccini utili alla metà degli europei. Pfizer ha annunciato il vaccino a novembre, Moderna lo avrà a marzo, ma tutti i vaccini saranno disponibili a giugno.
Intanto però, nella confusione del 2020, nessuno ha contestato più alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la sua prima priorità, quello stile europeo, che tanta polemica aveva generato al suo primo apparire nel luglio 2019.
Fronte del no
I Socialisti europei si erano detti sicuri – era il 13 novembre dell’anno scorso- che Ursula avrebbe eliminato quel stile di vita europeo, slogan preferito dall’estrema destra, e che la von der Leyen avrebbe accettato la censura per ottenere il voto di centrosinistra al suo governo. Poi però avevano ottenuto solo di sostituire il proteggere con il promuovere lo stile. In molti avevano tuonato però, irritati. L’ex presidente Jean-Claude Juncker aveva subito messo le mani in avanti. Accettare chi viene da lontano fa parte dello stile di vita europeo. Il nostro naive presidente dell’europarlamento Sassoli aveva definito il titolo come denominazione bizzarra e originale. Il suo fratello separato alla nascita, Letta, si era espresso così, La competenza della nuova Commissione Ue sulle migrazioni ridenominata proteggere il nostro modo di vivere, anche no. Semplicemente no. Ma proprio NO. La convinzione era che il parlamento europeo non avrebbe approvato la DG di Schinas dello stile, prima denominata Direzione generale sulle migrazioni. Gli accordi però fra partiti si rispettano e dopo l’approvazione, grazie a 14 pentastellati confusi, della nomina a presidente della prima tedesca, tutto è passato senza colpo ferire. Alla fine la parte politica che aveva lanciato la polemica, vista la mala parata, ha finito per definirla sproporzionata. E’ spuntato un misericordioso ricercatore dell’Ispi, Matteo Villa che ha cercato di neutralizzare la ferita. Ha spiegato che la strana denominazione dipendeva dalle tante, disparate e minori competenze affidate al vicepresidente greco (istruzione, cultura, immigrazione, integrazione, antiterrorismo e protezione) definibili solo con lo stile. L’irritazione nascosta non poteva non notare che l’immigrazione finiva sotto un esponente del partito greco di centrodestra Nuova Democrazia, in eredità dal connazionale Avramopoulos, e che in una DG votata all’aiuto, restava al centro della visione della der Leyen lo Stato di diritto, ed il relativo Legalismo.
Lo stile europeo non esiste perché l’Europa non esiste
La seconda linea di attacco allo stile, allora, si è fatta concettuale. La Dominioni su Linkiesta ha ricordato che la verità è che uno stile di vita europeo non esiste. Gli europei guardano film americani, mangiano cinese e indiano, viaggiano alle Maldive, fanno yoga, non vogliono fare i preti o i pastori religiosi. Da decenni gli accademici tentano di capire se un’identità europea esista davvero; non hanno una definizione condivisa e litigano su ipotetiche radici cristiane e carolingie. Poi si è sostenuto che l’Europa non è omogenea per visibili problemi di povertà, di mancanza di riscaldamento e di sanità. I paesi più poveri sono troppo diversi da quelli più ricchi; non solo, ci sono troppe distanze tra le grandi città dei giovani Erasmus che parlano cinque lingue e le campagne senza rete e strade. Si è enfatizzata la presenza di 34 milioni di extraeuropei residenti, ca. l’8 % della popolazione; e del decimo di giovani europei under 34, figli almeno di un extracomunitario. Si è sventolato il raddoppio del numero degli africani nei prossimi 50 anni, coevi della decrescita degli europei di 100 milioni. Tutto questo per trovare la principale, se non unica, ragione di essere dell’Europa nella sua politica immigratoria. Il ragionamento recita così. L’Europa è grande ma non è potenza perché è baluardo dei diritti umani. L’inclusione per tutti è l’incarnazione dello stile di vita europeo. Le politiche di inclusione rendono coese le società e rafforzano le economie (dich. Schinas). Traduzione, il vecchio continente, votato ai diritti umani, deve battersi perché tutti ne possano usufruire, in primis chi bussa alla porta. Qui il destro greco sembra convergere con il terzomondista d’antan, presidente della Fondazione Basso, che fa dell’immigrazione, la struttura centrale di ogni bene, dalla dignità umana alla civiltà, democrazia, innovazione e sviluppo.
La difesa
Ad un anno della nomina, la Commissione presenta il piano d’azione europeo 21-’27 per l’inclusione che rientra nel pouporri di diritti sociali, lotta al razzismo, antisemitismo, inclusione dei rom, femminismo e gay. Ce ne vorrebbero di soldi per sostenere in tutto il continente un’istruzione inclusiva, servizi sanitari, il riconoscimento delle competenze, alloggi adeguati a prezzi accessibili, soprattutto quando i fondi (FESR, il FSE Plus, il FAM, InvestEU, EURegio) sono multitasking, dovendo pensare all’immigrato, al nero, al Rom, all’ebreo, alla donna, al povero ed al gay, in un divertente carosello di presunti diversamente esclusi. Poi le decisioni reali sono solo dei governi nazionali che misurano, con i soldi che hanno, l’impatto delle politiche sociali. L’esperienza italiana sicuramente proporrebbe un reddito ad hoc per ogni casistica. Le parole però hanno un peso. Non ha torto Juncker, cui Non piace l’idea di uno stile di vita europeo da opporsi al fenomeno migratorio. Schinas parla di Chiunque abbia il diritto di soggiornare….e di assunzione di diritti e obblighi. L‘integrazione inclusiva richiede impegno da parte delle persone da integrare. L’impegno del previsto nuovo patto sull’asilo ha l’obiettivo di abbattere il numero di 50mila clandestini che ogni anno entra nell’Unione. Hahn, il belga veterano di tre commissioni, si è detto da subito felice dello stile. A lungo nel dopoguerra il mito fu l’american way of life, sinonimo di abbondanza, di Coca Cola, di capitalismo funzionante; un miraggio per i disperati usciti dalla guerra che non ricordavano tanta prosperità nemmeno nel periodo anteguerra. Oggi le cose sono cambiate. Abbiamo standard su cui le persone possono fare affidamento. Dovremmo essere orgogliosi e credere nello stile di vita europeo, è finito il mito americano. Si sta meglio nell’Europa pacifica che negli Usa.
Nato ed UE
Nel 2019, nei fatti, l’elettorato ha consegnato il governo europeo ad una coalizione moderatamente destra e legalista; e la cucina partitica ne ha fatto il primo governo tedesco. Il 2020 ha spazzato, nel tracollo economico comune, tante fragili ipotesi di coordinamento europeo. Quello sanitario è saltato completamente, ultimamente ridicolizzato dal tema dello sci natalizio che fa parte dello stile di vita europeo, parola di Schinas. Le bianche discese francesi e austriache resteranno aperte, per non parlare delle svizzere; tutte insieme si fagociteranno i 20 miliardi del circo bianco italiano. Si è fatto più fragile l’insieme geopolitico militare che determinò la nascita dell’Unione, interfaccia dell’alleanza militare occidentale Nato. Da due decenni la Germania, motore d’Europa, è sempre più indifferente a quest’ultima. L’America di Trump ha risposto con altrettanta indifferenza. La Brexit ne è stata l’effetto più macroscopico, con le sue future ricadute nei casi angloirlandese e angloispanico di Gibilterra. L’altro effetto è stato, nel vuoto di iniziative, l’arrivo dei turchi in Libia, dopo i successi ottenuti, all’ombra dei russi in Siria. L’allargamento ai Balcani musulmani o filorussi è fondamentale per i militari, ma non fa passi avanti rimandato al prossimo decennio. Juncker disse che non ci sarebbe stato alcun allargamento durante il mandato. L’Albania è stata bloccata, ora lo è la Macedonia del Nord. La Serbia, cui si chiede l’inversione di politica estera, sembra un caso disperato. L’allargamento, con gran stizza di metà europarlamento, è affidato agli ungheresi, colpevoli di reo stato di diritto.
Ungheresi bocciati
L’ungherese Trócsányi doveva essere il commissario per l’allargamento, ma l’ex ministro della giustizia del governo Orbán 2014, malgrado l’exploit elettorale del suo partito Fidesz del 2019, fu ricusato dall’europarlamento. La sua sfacciata e sincera contrarietà al multiculturalismo fu solo l’ultimo duello di una lunga guerra, iniziata con il conflitto aperto dalla Commissione Juncker sulle norme dell’ungherese sulle ONG, sui campi per richiedenti asilo, sugli istituti superiori. Il Fidesz venne sospeso dal Partito popolare europeo e l’Ungheria messa in stato d’accusa per violazione dei valori fondanti. Bocciato con una scusa Trócsányi, troppo amico dei russi e dei macedoni, troppo poco degli americani, è arrivato Várhelyi, che di primo acchito è stato anch’egli rifiutato. I parlamentari non avrebbero voluto dare alcun commissario all’Ungheria, ma semplicemente non le si può rifiutare il commissario. Con gli esami di riparazioni, Várhelyi è stato autorizzato, da commissario all’allargamento, a valutare lo stato di diritto dei paesi candidati, lui che viene da un paese sull’orlo della condanna. Ovviamente a Budapest si rivive l’ansia e l’entusiasmo del ’56, in attesa dopo i carri armati russi, dei carri finanziari europei. Per la Nato gli stati canaglia, Ungheria e Polonia, assieme ai baltici, sono i paesi principali capisaldi, i migliori. Cosa che ha permesso a Varsavia di ottenere nel 2019 un manifesto europeo parimenti antifascista e anticomunista. Sotto il Covid, mentre i fondi degli Stati diminuiscono, l’Unione intende spendere a rotta di collo a debito; forti dell’importanza militare, gli stati canaglia si sono permessi di bloccare il bilancio e qualunque manovra economica, invitando tutti a lasciare i diritti teorici dove devono rimanere. La Germania ha reagito felpata, lasciando che mostrino i denti i cagnolini più piccoli della sua vasta rete d’alleanze.
Sbiancare la pelle
Anche questo è stile europeo, lo stile del primo governo tedesco d’Europa. L’attesa con nonchalance che il nemico se ne vada da sé. I russi se ne andarono dalla Germania nel 1989; quando lo faranno gli americani? In tutto ciò Il migrante è uno di noi, come ha dichiarato la svedese Johansson, commissaria per gli Affari interni; ma è uno di quelli che fra noi conta meno, come gli europei poveri. E’scontato che lo stile europeo sia quello dell’Europa centronordica, quella più avanzata. In questa Europa avanzata cozzano completamente le visioni. Per gli uni, è imbarazzante, quasi vergognoso per l’Unione che non ci sia e non ci sia mai stato un commissario non bianco. Per gli altri si tratta di trasmettere lo stile a chi arriva; praticamente cambiargli, schiarirgli il colore della pelle e dell’anima.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.