In Italia c’è un problema di libertà, che si è creato attorno al Covid ma viene forse da lontano. E’ un problema serio, grave, grosso come un macigno, che dovrebbe interpellare tutti a cominciare ovviamente dal ceto pensante, se ancora ce ne fosse uno in grado di esercitare nel nostro Paese il suo mestiere. A scanso di equivoci, dico subito che non si tratta di un attentato allo Stato di diritto messo in atto da qualche potere, o da forze politiche determinate, o casomai dal governo che ha in corso un piano strategico chiamato “dittatura sanitocratica”. Se fosse così, come tante volte è stato nella storia e continua ahimé ad essere nelle tante dittature che ancora esistono nel mondo, sarebbe tutto più facile per noi che crediamo nella libertà e siamo disposti a difenderla in ogni occasione: avremmo un nemico preciso di fronte e potremmo combatterlo a viso aperto organizzando forme individuali o collettive di resistenza. Il fatto è che invece la libertà che perdiamo, un pizzico di più ogni giorno, siamo noi tutti a volerla perdere: ci rinunciamo con nonchalance, senza porci domande. La pienezza della vita, a noi, proprio a noi che un tempo amavamo la “bella vita”, non piace più, la sacrifichiamo in nome di una sicurezza (che nessuno potrà mai darci) senza porre condizioni e senza un minimo di afflato morale o senso tragico degli eventi che ci stanno capitando. Il sacrificio in sé, in queste circostanze, è assolutamente giustificato, ma andrebbe vissuto da tutti con un’altra postura, un altro tono o stato d’animo. Viverlo come lo stiamo vivendo noi crea un pericoloso precedente e ci rende vulnerabili in futuro, quando i peggiori spettri evocati spesso a vanvera in passato potrebbero riaffiorare dall’armadio. Che l’ottanta per cento degli italiani chieda di inasprire le restrizioni per il prossimo Natale, come certificato dal Censis, può essere visto anche come un segno di responsabilità, ma l’impressione è che sia il frutto anche di tanta rassegnazione e sfiducia nel futuro e nelle nostre capacità. È quasi una resa incondizionata al virus, con il quale non si vuole nemmeno provare a combattere o a “convivere”, come si dice.
Che non sia solo un segno di responsabilità, ma anche una collettiva operazione di deresponsabilizzazione lo si evince dai dati successivi presenti nella rilevazione dell’istituto di ricerche: ben quasi il sessanta per cento degli italiani è disposto non solo a rinunciare alle libertà personali per tutelare la salute collettiva ma lascia al governo le decisioni su quali e quante, e in che modo, imporre le restrizioni. Una delega completa, a prescindere, senza condizioni, senza volere nemmeno esercitare lo spirito critico o quel minimo di partecipazione democratica che si esercita nel dibattito pubblico attraverso il sano conflitto delle interpretazioni. Completa il quadro un altro dato più drammatico ancora: per più di un italiano su tre il benessere economico è più importante dei diritti civili. Come non pensare che la “cinesizzazione” del Paese sia già avvenuta nelle coscienze, che tutti ci siamo già fatti “servi volontari” di un potere che vorremmo ci accudisse, proteggesse, trattasse come bambini o come le pecore menate al pascolo dal buon pastore (cito Immanuel Kant a memoria). Ora che un governo debole come quello di Giuseppe Conte usi spesso politicamente il virus per mascherare le sue inefficienze è la logica conseguenza di tutto questo. Ma, dopo tutto, è un tentativo goffo e destinato a infrangersi contro le stesse divisioni profonde presenti nella maggioranza. Ciò che fa specie è però la tranquilla acquiescenza dei più, tranne qualche pasdraan più o meno “negazionista” che opera sui social e che, senza rendersene conto, è del tutto interno al gioco che tutti stiamo giocando. Ben altra serietà e gravitas ci vorrebbe per capire dove stiamo andando, perché le nostre coscienze si sono così cloroformizzate e acquietate, perché ogni passione langue e ne sentiamo poco la mancanza. Dove noi liberali, “liberali” di tutte le specie, abbiamo sbagliato. Una cosa è sicura: alla fine di questa storia ci ritroveremo con più Stato, meno libertà, una Costituzione e istituzioni stravolte, più debito, ma soprattutto senza più tempra morale.
Blog Corrado Ocone
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