Anche i quartieri di Milano hanno un’identità da saper “leggere”: che ci fa un tavolo da ping pong?

Milano

L’identità di Milano è nell’immaginario collettivo, ben radicata, con la fierezza di appartenere per nascita o per adozione a una città che vive la solidarietà e la laboriosità con istinto naturale. E, per un attimo, dimentichiamo la tragedia del virus, la realtà di una città snaturata, a volte irriconoscibile, ombra di se stessa per cause di forza maggiore. Ma Sala, con un intuito superficiale e grossolano, da tempo immagina una trasformazione senza logica e conoscenza del territorio. Il programma “Piazze aperte” che persegue, rendendo Milano un Arlecchino a beneficio dei migranti, rom e similari, è la dimostrazione che Sala ignora quanto in una città pulsi un capitale umano da capire e valorizzare. E non sono casuali l’estremo degrado delle periferie, i bivacchi, le occupazioni abusive degli immigrati. Un tavolo da pingpong, due righe gialle a delimitare le illogiche piste ciclabili, sono controproducenti, se veramente si vuole amare una città, l’identità dei suoi quartieri, il rispetto soprattutto degli abitanti.

Mi diceva il prof. Cesare Stevan, Preside storico della Facoltà di Architettura del Politecnico “E’ evidente che occorre prioritariamente ricostruire la storia di un quartiere, dare un’identità ai suoi cittadini. Non è una cosa semplice, soprattutto con un mix di abitanti spesso molto diversi, ma occorre ristabilire questa identità in cui riconoscersi e non tollerare ciò che è intollerabile. Non lasciar spazio a ricatti o  intimidazioni. Il ripristino della legalità è essenziale, anche con atti repressivi e apparentemente impopolari. Ma importante soprattutto è dare un futuro, definire scenari di sviluppo per il quartiere e per il miglioramento della vita dei suoi abitanti. E’ indispensabile fare un progetto che parte dal cercare i punti di forza, creare una gerarchia di interventi, identificare l’elemento di omogeneità dei cittadini, rifacendosi alla loro storia che sarà centrale nella ricostruzione della loro identità. Le risorse umane ci sono e sono le risorse da cui non si può prescindere. Si devono censire anche le risorse ambientali: rapporto tra parte edificata e verde, rete dei trasporti, restaurare eventuali strutture architettoniche degradate, per evidenziare le potenzialità della zona. La soluzione è saper leggere il territorio e avere una visione strategica del suo sviluppo, formulando in base a questa un progetto da rendere condiviso. Spesso le risorse disponibili sono di più di quelle necessarie. E’ evidente quindi che ci vuole impegno, tenacia e soprattutto la convinzione che il degrado non è ineluttabile e che anche quella parte di città che qualcuno definisce periferia può essere bella  e rappresentare una nuova centralità. E ci vogliono idee, invenzioni, fantasia, impegno politico.”

Oggi appaiono come “luoghi dell’assenza” di identità, di storia, di memorie. Non si trasformano i punti di riferimento, quel glicine all’angolo della strada, la panchina solitaria, la fontanella senza acqua, la cappella con la Madonnina, sovrapponendo progetti con asfalto colorato e monopattini in gara di velocità. Ma a Sala non interessa “leggere” il territorio.

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