Il Cardinale Gianfranco Ravasi “Un elemento positivo delle restrizioni è ritrovarsi”

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Il Cardinale  Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la cultura e del «Cortile dei gentili», ha parlato di questo strano Natale, dell’isolamento forzato, al Corriere e nello speciale su La 7, evidenziando l’esperienza positiva che può essere ricavata dal lockdown. Riflessioni per un Natale che chiede introspezione e meditazione.

«Un elemento positivo del primo lockdown è stato riuscire a rimanere un po’ più fermi. È il tema della meditazione, del ritrovarsi. La solitudine permette lo spazio della riflessione rispetto alla concitazione della vita quotidiana. E si è elaborato il rapporto con la morte, improvvisamente comparsa come elemento fattuale, non come rischio lontano. Il romanzo La peste di Albert Camus pone non per caso, mentre tutto sembra precipitare, il problema del senso, del significato della vita.

La coscienza degli altri, della loro assenza, della loro necessità. E poi le regole, che gli italiani hanno responsabilmente seguito per mesi. È stato un periodo positivo che faceva sperare in un mutamento. Ma ora, con la seconda ondata, tutto sembra mutare. Si avverte un’atmosfera di irrazionalità nelle reazioni, anche nella virulenza delle critiche al governo. Purtroppo non ci sono voci autorevoli che possano far vedere la strada, un disegno di convivenza. Norberto Bobbio non c’è, Norberto Bobbio scriveva l’Elogio della mitezza.

Quello che ora sta accadendo è, invece, il mutamento di un’atmosfera, dei parametri di sguardo e intervento sulla realtà. Quando Galileo guarda col telescopio i pianeti medicei non scopre solo qualcosa di particolare nel cosmo, ma introduce la rivoluzione copernicana che è il cambio radicale della consapevolezza del mondo. Noi stiamo vivendo la quarta rivoluzione dopo la copernicana, la darwiniana, la psicanalitica. Una rivoluzione che cambia la nostra relazione con gli altri e forse con noi stessi».

 “La vita, nonostante abbia tanti scontri, è l’arte dell’incontro”. Questa cultura, la ricerca dell’altro, la sua accoglienza, la comprensione reciproca è sostituita oggi da quella dello scontro. L’egoismo nasce dalla paura soprattutto e quando diviene isolamento può generare disperazione e violenza. La violenza è la cancellazione dell’altro, è ridurti ad essere solo. Bisogna ricostruire un vivere sociale, un’idea di comunità come alternativa alla solitudine e, peggio, all’isolamento. Lo diceva un sociologo americano: da quando i tetti si sono infittiti di parabole si sono moltiplicate le porte blindate. Qui torna il compito delle religioni o comunque della cultura. Oltre il cibo, del fisico o della mente, c’è la relazione diretta, quella umana, quella fatta di pelle e parole. La visita agli ammalati, la lotta tenace contro l’isolamento delle persone è forse il compito delle persone di buona volontà, in questo tempo caotico».

Distanziati si vive male. E per quanto sia necessario in questo momento noi dobbiamo alimentare la speranza di un ritorno alla normalità delle relazioni umane e intanto alimentare questa fase di ascolto, incontro, parola. Questo vale anche per la Chiesa. Ho provato a celebrare messa in collegamento ma è un’altra cosa, non è più l’assemblea calorosa, il ritrovarsi. Gli ebrei nell’Antico Testamento quando devono rappresentare il tempio lo definiscono Ohelmo’ed che vuol dire letteralmente “la tenda dell’incontro”, dell’incontro con Dio e con gli altri. Come era chiamata l’assemblea riunita? In ebraico Qahal. Che vuol dire convocazione. Come l’hanno tradotta i greci? Ekklesia, chiamati insieme. La Chiesa è doppio incontro, con Dio e con gli altri». 

Noi adesso siamo davanti ad una civiltà tendenzialmente smemorata: non ha speranza nel futuro e non guarda al passato. Il che vuol dire che ha un presente frammentato, vuoto. “Ricordare” è “riportare al cuore”, quindi è un’esperienza.

Chi ha il coraggio di dire oggi che a un certo punto della vita bisogna fare l’esame di coscienza? Non lo dicono più neppure i preti… II quarto è il momento in cui si diventa mendicanti, quando si ha bisogno degli altri. Nella vecchiaia tu ritrovi la relazione che prima hai vissuto da signore, qui la vivi invece da persona umile, da povero. Questi quattro elementi secondo me costituiscono un po’ la maturità nel suo insieme e non sono necessariamente successivi l’uno all’altro. Credo che per creare questa unità di conoscenza e non la frammentarietà del “presentismo” si debba vivere un’esperienza umana completa» 

La religione per me ha  un grande compito. Non so se è facile trovare un libro religioso, sacro, così ricco di animali, di vegetali, che dà un rilievo così importante alla creazione, alla luce, al cibo come la Bibbia. È un tema sul quale le coscienze, stimolate dai giovani, dovrebbero marciare con coraggio e forza».

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