Nell’anno che si sta per concludere, l’informazione è stata monopolizzata dal Covid. I grandi giornali, ad iniziare del Corriere della Sera, hanno dedicato, e continuano a dedicare ininterrottamente dallo scorso febbraio, almeno dieci o dodici pagine tutti i giorni al Covid. Si è perso, poi, da mesi il conto delle interviste ai vari virologi, quasi sempre in contraddizione fra loro, e quelle al premier Conte.
In questo contesto informativo “monotematico” in cui il contraddittorio non è contemplato, è sparito dai radar qualsiasi altro argomento che non attenga alla pandemia.
Fra i vari temi nascosti dai media nazionali vi è, certamente, quello della giustizia. Anzi, della malagiustizia nelle sue diverse declinazioni.
Fra i tanti casi recenti di accanimento giudiziario meritano di essere segnalati in questa sede quelli relativi a Calogero Mannino, Nunzia De Girolamo, Ottaviano Del Turco.
Iniziamo da Mannino, assolto definitivamente per la trattativa “Stato-mafia” dopo una via crucis lunga 30 anni.
L’ex ministro democristiano ha più di ottant’anni, quando venne indagato ne aveva cinquanta. Erano gli anni delle stragi di mafia che costarono la morte ai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Per l’accusa Mannino sarebbe sceso a patti con il capo dei capi, Totò Riina, per far cessare questa scia di sangue. Nulla di più falso come ha stabilito la Cassazione.
I cinquantenni oggi vengono spesso considerati ragazzi, chi di loro è entrato nel mondo politico ritiene di avere molto tempo davanti a sé prima di pensare alla pensione: Giuseppe Conte ha 56 anni, Zingaretti 55, i due giovanotti Renzi e Salvini rispettivamente 45 e 47. Provi ciascuno di loro a chiudere gli occhi e a immaginarsi fra trent’anni.
Nunzia De Girolamo, già parlamentare di Forza Italia, quando era ministro dell’Agricoltura nel governo Letta, venne travolta dal gorgo giudiziario a causa di una registrazione clandestina nella casa di suo padre a Benevento dove si stava svolgendo una riunione politica.
La pubblicazione del nastro le costò le dimissioni da ministro, la fine della carriera politica, e poi un rinvio a giudizio e una richiesta di condanna ad otto anni di reclusione.
Il mese scorso, dopo sette anni dai fatti, l’assoluzione con formula piena.
E poi Del Turco, storico sindacalista della Cgil, poi parlamentare ed infine presidente della Regione Abruzzo.
Un’indagine sulla sanità ha spazzato via la sua esperienza di governo. Delle decine di capi d’imputazione, a distanza di dieci anni, ne è sopravvissuto solo uno. Che ha spinto il Senato lo scorso novembre a revocargli il vitalizio in virtù della legge Severino.
Del Turco soffre, oltre che di un tumore, di due devastanti malattie neurodegenerative che lo costringono a letto e gli impediscono di riconoscere i suoi familiari. Le sue vicissitudini giudiziarie, venne anche arrestato, non possono non aver avuto conseguenze sul suo stato di salute.
La presidente del Senato ha restituito nei giorni scorsi per motivi umanitari il vitalizio che era stato revocato, consentendo a Del Turco di potersi continuare a curare nell’ultima fase della sua vita.
Sono queste tre storie che, ognuna per un aspetto diverso, avrebbero meritato, invece dell’oblio, un approfondimento ed una discussione sui giornali.
Nato a Roma, laureato in Giurisprudenza e Scienze Politiche,
ha ricoperto ruoli dirigenziali nella Pubblica Amministrazione.
Attualmente collabora con il Dipartimento Scienze Veterinarie e Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Milano. E’ autore di numerosi articoli in tema di diritto alimentare su riviste di settore. Partecipa alla realizzazione di seminari e tavole rotonde nell’ambito del One Health Approach. E’ giornalista pubblicista iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Lombardia.
Un resoconto che fa rabbrividire su una giustizia che non paga piegno per i suoi errori. erò certi magistrati sono costantemente in Tv.