In un anno qualunque, prendiamo, il 2019, muore poco più dell’1% degli italiani. 647k su un totale di 60 milioni e quasi 400k; nel 2017 morirono più di 650k. E lascia stare che manchi qualche milione di clandestini e dispersi. Il conto è lo stesso. Ogni anno nascono 435k bimbi vivi e quindi la popolazione si riduce di più di 200k di persone. La riduzione media dell’ultimo lustro era di 116k.
Ciò corrisponde ad una precisa volontà diffusa egotista. Non si vogliono i problemi causati dalla prole e si confida in una vita, magari in una sopravvivenza, lunga; ancora più lunga di quanto non sia oggi che è già lunghissima, fra le maggiori al mondo. A forza di 200k all’anno, 2 milioni tra 10 anni, 10 milioni in 50 anni, nel 2069, gli italiani potrebbero essere 50 milioni e rotti, con metà della popolazione anziana. Se oggi l’età media è dI 46 anni, allora sarebbe di 57.
Anche qui la forbice Nord Sud si fa sentire. Il calo dei figli è soprattutto meridionale. Ci si aggiunga la continua emigrazione ed il gioco è servito. A fine Ottocento la questione meridionale fu risolta con l’emigrazione di massa. Oggi si cerca l’altra strada della desertificazione. Nel Norditalia nascono più bimbi di quanti anziani muoiano. Poi il Covid ha tolto questo plus affondando ancora di più il reintegro della popolazione.
Di cosa si muore? Di stress e di mal vivere, che si esprimono con le malattie del sistema circolatorio (ischemie, infarti, malattie del cuore e cerebrovascolari) e con i tumori. Le due cause si portano via 410k persone l’anno (230k persone e 180k persone). Cui si potrebbero aggiungere 81k di morti per scarsa integrazione (20k morti per malattie del sistema nervoso, 24k traumatizzati, 23k disturbati, 14k suicidi ed incidentati). Mezzo milione di morti dovuti alla difficoltà di vivere in una società bella, ricca, invidiata ma innervata di risentimenti e con pochi sfoghi di violenza; una società repressa per il veto del cozzo delle assolute libertà di tutti e per la mancanza di motivazioni.
53k poi muoiono per malattie del sistema respiratorio, di cui 13k per polmonite. In genere questi ultimi decessi colpiscono gli up 75. 30k muoiono di diabete, 23k a causa dell’apparato digerente, 14k per l’apparato genitourinario, 12k per artrite, 3,6k per il sangue, 3k per la cute ecc.
Nell’anno del Covid I decessi totali da gennaio ad agosto 2020 sono stati 475k (86k a marzo, 73k ad aprile, 52k a maggio 48k a giugno, 50k a luglio e 51k ad agosto). Proseguendo così, potremmo sfondare gli 800k morti dell’anno, con l’abbattimento forte della popolazione settentrionale dove finora ci sono stati 243k decessi vs i 143k del Mezzogiorno e gli 89k del Centro.
Ovviamente tutti questi decessi non sono dovuti al Covid che al 7 novembre ha ucciso quasi 42k persone. Anche raddoppiando così i morti per problemi respiratori, non vengono intaccate le posizioni dei primi due fattori di morte. Nel 2021 potremmo trovarci con 800k morti, il doppio dei nuovi nati. Dato triste e tragico, ma non troppo diverso in realtà dal quadro precedente.
Si può sostenere che senza le politiche di restrizione potremmo avere avuto 80k, 100k, 200k morti di Covid. Anche con un milione di morti, si tratterebbe sempre del 2% della popolazione, equivalente in fondo ai non nati di cui nessuno si cala.
Nel mondo in un anno in 231 paesi ed in una trentina di navi a crociera, sono morti 1, 25 milioni di persone di Covid su ca. 50 milioni di casi (35 milioni i guariti). Anche qui, a fronte della popolazione mondiale di 7 miliardi, la percentuale dei morti è minima, lo 0,02%. I paesi con le migliori sanità riconosciute hanno registrato risultati casualmente differenti. Il Canada, che in teoria ha la migliore sanità al mondo, ha avuto ben 11k decessi. Lussemburgo, Singapore e Hong Kong, che sono solo città, hanno avuto 193, 28 e 107 morti; e la prima è piccolissima rispetto alle altre due. In paragone Nuova Zelanda, Qatar e Norvegia con 25, 232 e 285 morti, sono rimase indenni. La Francia ha avuto 41k morti e la Germania 12k, un terzo. I Paesi Bassi 8k decessi, la Svizzera 2,5k, il Giappone che non ha fatto neanche smartworking, 1,8k decessi mentre la Svezia senza alcuna restrizione si è fermata a 6k decessi. L’enorme Cina dove tutto è cominciato ha avuto solo 4,6k morti. Sopra la Francia, gli Usa con 241k, il Brasile con 162k, l’India con 127k, il Messico con 95k, l’Uk con 50k decessi. La pessima sanità della Russia ha incassato solo 30k. Situazioni diverse, sistemi politici diversi, caratteristiche etniche e immunitarie diverse, climi diversi, densità e numero delle popolazioni hanno generato effetti differenti.
Il Covid è un’effetto della moderna globalizzazione ma per loro natura le pandemie si sono diffuse paradossalmente sempre in tutto il globo, molto più velocemente di quanto non si spostassero gli uomini. Non è quella odierna, comunque, una malattia nemmeno lontanamente paragonabile alle grandi epidemie del passato.
Caratteristica comune della peste di Atene, febbre tifoide diffusasi nel Mediterraneo orientale all’epoca della guerra del Peloponneso nel V secolo a.C.; contemporanea all’epidemia romana narrata da Tito Livio; della pandemia di vaiolo del 165; della peste di Galeno, importata dopo le campagne militari contro i Parti; della peste bubbonica bizantina del morbo di Giustiniano del VI secolo, era che lasciavano sul terreno fino al 10% della popolazione. Tale decimazione come anche la mortalità infantile erano considerati inevitabili ed ineluttabili, non toccando più di tanto le coscienze.
La Morte Nera del 1346 di un’Europa ipoalimentata, importata dal Nord della Cina, uccise metà della popolazione ed inaugurò la ricorrenza venticinquennale epidemica di peste che durò fino alla peste di Marsiglia del 1720 e l’egiziana del 1844. Come il mal del montone del ‘500, le epidemie erano malattie democratiche….perché colpivano sia poveri che nobili e re.
Il Seicento fu il secolo della peste continua, dalla decimata Londra del 1603 e del 1665 alle 2k vittime per settimana a Palermo nel 1624 e Lione nel 1628, alle devastazioni in Spagna nel 1647 ed al milione di morti in Italia nel 1656, ai 100k morti di Vienna e Praga del 1679 fino alla ripresa del virus in Italia nel 1690. L’acme fu globale nel 1630 a seguito delle guerre di Austria e Francia. Venne persa metà della popolazione e se ne diede la colpa alle congiunzioni astrali sfavorevoli di Saturno e di Giove. Non mancò nemmeno il tifo, nel 1628 in Germania, Francia ed in Italia; e nemmeno malaria, vaiolo, scarlattina e di difterite.
Stavolta però la giustizia umana reagì con proibizione di fiere e mercati, grida di quarantene, uccisione di tutti i cani, bollette e tribunali di sanità, processi e torture agli untori, scellerati che, al servizio del demonio, diffondevano la peste. Veniva così meno la sottomissione fatalistica.
La spagnola del 1918, identificata per la prima volta in Kansas si confuse con la strage della guerra. Lasciò sul terreno il 6% della popolazione mondiale, 100 milioni di morti. L’Europa aveva esportato malattie come il vaiolo nell’America del ‘500 con i suoi 3 milioni di decessi oppure le pandemie di fine ottocento in India, Giappone e l’ecatombe a Hong Kong e Taiwan della peste di Yersin. I trasporti nel XX secolo fecero sì che i virus viaggiassero velocemente da est verso i territori europei ed americani. Temporalmente vicine a noi, le influenze Asiatica del 1957 e di Hong Kong del 1968 uccisero cadauna due milioni di persone nel mondo. Erano i nonni del Covid. I genitori, la Sars del 2003 e la suina del 2009, furono praticamente inoffensivi, neanche all’altezza della mortalità della normale influenza. Il nipote, Covid, invece ha terrorizzato l’umanità ritornando alla media di un milione di morti l’anno. Eppure nel ’57 e nel ’68 il mondo non si fermò, non indossò mascherine, non si preoccupò di assembramenti sociali che anzi all’epoca furono tra i più imponenti della storia.
Forti della tecnologia, gli umani si sono convinti di poter dominare il mondo, ed, anche di poterlo solo loro distruggere. L’idea che una malattia si riveli indomabile è intollerabile e porta all’isteria. La delusione per la sconfitta di tutte le teorie progressiste ha condotto ad un catastrofismo che cela in sé l’odio per i sistemi sociali che si rivelano fattivamente migliori per la gente comune. Da cui l’idea sottaciuta che il Covid sia la pena per l’intollerabile vittoria dei cattivi sentimenti del capitalismo, con tutte le varianti possibili che vanno dal complotto di moderni untori assimilabili ai poteri forti alla leggenda di un virus adottato dalla Natura per vendicarsi del cambiamento climatico.
La doppia tenaglia isterica non vede l’esiguità di una malattia che in passato non sarebbe stata nemmeno notata. Immagina attorno a episodi circoscritti panorami di centinaia di morti riversi per la strada. Le è stata coltivata accuratamente una magniloquenza immaginifica che vede la strage in meno di cento donne ammazzate l’anno. Ed il potere è da decenni abituato a crescere sulla diffusione di miti antipotere. Soprattutto la doppia tenaglia non vede che a politiche diverse corrispondono risultati non modificati tanto dalle politiche ma delle precipue caratteristiche territoriali.
L’unica opportunità provata da questa epidemia è l’esperimento di controllo sociale condotto che in effetti ha dato esiti diversi fra le popolazioni per le loro caratteristiche. Le conseguenze economiche devono ancora mostrare tutti i loro effetti e saranno l’occasione per rivedere il rapporto di primato fra le potenze. Certo l’Occidente bianco non ha ancora mostrato saldezza e unità di fronte agli sforzi cinesi di estensione della propria potenza economica, che è passata dall’export all’acquisizione di beni e risorse in tutti i continenti.
Dovunque cala la voglia di difendere la democrazia, intesa come rappresentanza popolare di idee diverse incalanate in fazioni organizzate. Ciascuno interpreta il suo programma in diritti inalienabili a prescindere da maggioranza e opposizione, dove entrambe si collocano ad un livello apicale, disinteressato delle idee della gente comune. Nel contesto dato chi offrirà il vaccino acquisterà il prestigio paragonabile alla vittoria in una guerra mondiale. Nel contesto l’esigenza del controllo e la preparazione alla situazione di perdita economica ad oggi quantificabile in 15k miliardi abbisognano di un alto livello di angoscia che ben attecchisce grazie a decenni di riproposizione di tante angosce improbabili.
In effetti le modifiche radicali degli stili di vita, di lavoro e di consumo e la proibizione della socialità hanno indotto tanta angoscia, impossibile a prendere sotto gamba. Ansia e angoscia crescono davanti a un facite ammuina dei governi i cui diktat non trovano miglioramenti concreti. Nelle grandi parti della popolazione, anziane, tormento, solitudine e alienazione nei prossimi mesi sono destinati a farsi parossistici con effetti sociali irrazionali, proprio per l’impalpabilità irrazionale del pericolo, tanto sbandierato quanto poco effettivo nella pratica.
L’angoscia genera fibrillazione e collera, in una aggressività irrazionale che ben giustificherà ulteriori misure di controllo sociale. La psicologia degli ultimi due secoli ha studiato le angosce di tipo repressivo dove le società reprimevano gli istinti. Questo tipo di interiorizzazione del conflitto tra ego ed es è stato ondotto così lontano che si è rovesciato nella repressione del buon senso, nell’impossibilità di dire che il re è nudo. Non c’è più il conflitto con la morte, ma la corsa contro il tempo in cui l’immortalità sarà una possibilità concreta.
Panico e angoscia sono le reazioni montanti nell’epoca del Covid. Direttamente non sono affrontabili; indirettamente lo sono con la leva del buon senso. Nessuno però sembra volerlo prendere in considerazione; nessuna istituzione soprattutto che nell’angoscia culla il proprio potere.
(Relazione per il convegno storia 2020)
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.