L’attualità del pensiero in Guareschi: “La battaglia per la libertà è battaglia per la persona umana”

Attualità

“….Perché, alla fine, la battaglia per la libertà, in Guareschi, è battaglia per la persona umana, al di là dei partiti, delle ideologie, delle condizioni soci ali, del credo religioso. È la battaglia condotta da un uomo solo, che non aveva dietro di sé alcun partito o gruppo, e parlava agli altri uomini avendo alle spalle soltanto l’esperienza traumatica del lager, una moralità cristallina e una profonda fede. E una battaglia che parte dal concetto del rispetto che ogni uomo deve al suo simile e alle istituzioni che egli ha concorso a realizzare. In ci ò dimostrando, Guareschi, un’assoluta coerenza dai giorni della prigionia a quelli presenti delle battaglie giornalistiche di Candido.» La vis polemica della battaglia contro il comunismo (ma non solo, perché strenue battaglie combatté contro tutti gli “ismi” che cercavano di limitare la libertà di pensiero di ogni persona), non impedì a nostro padre di mantenere un profondo rispetto nei confronti degli avversar i, che credevano negli ideali per cui combattevano, separando nettamente l’ideologia dagli individui che la seguivano” I figli di Guareschi, Carlotta e Alberto tratteggiamo con incisività e conoscenza la vita del padre, un combattente sempre fedele a se stesso, scrittore e umorista graffiante, autore di opere illuminanti ancora oggi attualissime perché legate ad una bandiera intramontabile: la libertàdi pensiero e di espressione.

“Nel settembre del 1943 nostro padre, ufficiale di complemento, veniva catturato dai tedeschi e, essendosi rifiutato di continuare a combattere al loro fianco, inviato in campo di concentramento dove rimase, cambiando diversi Lager, fino alla liberazione (16 aprile 1945) e, successivamente, non più prigioniero ma custodito dai liberatori, fino alla fine dell’agosto del 1945, data del suo rimpatrio. La sua prigionia fu “volontaria” in quanto rifiutò sempre, come la stragrande maggioranza degli internati militari, di aderire alla Repubblica Sociale Italiana. In quel durissimo periodo di prigionia scoprì di avere dentro di sé doti che non conosceva, e fece fruttare il talento che gli aveva donato il Padreterno maturando così il suo impegno civile. Racconta, infatti: «Io in campo di concentramento andavo in giro per le baracche a raccontare delle tavolette piene di serenità e di fiducia nell’avvenire. Allora mancava il pane e il gelo ci seccava la carne e le ossa: ma eravamo uniti dagli stessi pensieri, dagli stessi sogni. Non ci dividevano interessi di partito. È facile parlare a chi comprende e, allora, comprendere se stessi significava comprendere tutti gli altri. Le nostre parole dicevano ciò che pensavano gli altri.» Quell’impegno civile gli ispirò – al suo rientro dai Lager tedeschi – le battaglie giornalistiche contro ogni ideologia che impedisse agli individui di pensare con la propria testa. Le polemiche, a volte violente, erano giustificate dal clima del tempo, come fa notare Giovanni Lugaresi nella prefazione a Mondo Candido 1946-1948: «Giovannino, reduce dai lager nazisti, davanti al triste e tristo spettacolo degli odi di fazione, delle vendette di parte, insomma delle violenze e delle uccisioni che si susseguivano nel Paese (e soprattutto nel cosiddetto «triangolo della morte» Bologna – Modena – Reggio Emilia), avvelenando le coscienze, non si stancò di battersi per la pacificazione. In questa sua ansia di pace, di concordia nazionale, non aveva scopi reconditi o secondi fini da perseguire. (…) Aveva ragione, e lo si è visto, da parte di tutti, a distanza di anni. Ma allora? Bisogna pensare, rifarsi al clima del tempo, per valutare a pieno il senso di quella battaglia. Un tempo che aveva fatto registrare, anche, il tradimento di non pochi intellettuali, passati magari dall’ossequio al passato regime all’adesione al partito che si presumeva sarebbe andato al potere. Quel PCI che, unito ai socialisti di Nenni, si sarebbe presentato alle elezioni del 1948 dietro il simbolo dell’onesto faccione di Garibaldi con la scritta: «Fronte popolare». Guareschi non si stancò di denunciare il mascheramento dell’avversario, l’inganno: non soltanto con gli scritti, ma coi disegni e con le vignette, quanto mai polemici ed efficaci: tra questi il famoso «Mamma, votagli contro anche per me» dello scheletro del soldato dell’ARMIR aggrappato ai reticolati del campo dì concentramento sovietico e l’altrettanto famoso «Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede Stalin no!». Oltre, naturalmente, ai trinariciuti del «Contrordine compagni» e della «Obbedienza cieca, pronta, assoluta». Guareschi si prese, fin da allora, del reazionario, del fascista, del nemico del popolo. Eppure, anche nei racconti di don Camillo, pur di denuncia, non si trova mai odio (spirito, esigenza di giustizia, sì), ma una sconfinata pietas. Fu, resta, una delle caratteristiche del Guareschi uomo, scrittore, giornalista, umorista: l’assoluta assenza di odio verso chicchessia, pur nel fervore della battaglia, nelle sue azioni e nella sua attività giornalistica. Una battaglia condotta sempre frontalmente, a viso scoperto. Che poteva avere indubbi eccessi polemici, e. Per questa ragione nacquero i racconti di ‘Mondo piccolo’ la cui tesi, come scrisse ad Angelo Rizzoli nel 1952: «è di far risaltare la differenza sostanziale che esiste tra la ‘massa comunista’ e ‘l’apparato comunista’. Indurre cioè l’uomo della massa a ragionare col suo cervello e con la sua c o- scienza: fargli cioè capire che le direttive possono essere seguite soltanto fino a quando esse non vadano a ledere quelli che sono universalmente conosciuti come sani e onesti principi. Indurre la massa fondamentalmente onesta (Peppone) a ritirare i cervelli versati all’ammasso del Partito Comunista. Trasformare cioè l’obbedienza cieca, pronta e assoluta in obbedienza ragionata. Le mie rubriche a disegni ‘II compagno padre’ e ‘Obbedienza cieca, pronta e assoluta’ tengono anch’esse a raggiungere questa finalità. Esse non sono state fatte per divertire i borghesi alle spalle dei comunisti, ma per provocare nei c o- munisti quella reazione salutare di cui si parlava. Per dimostrare insomma alla massa comunista che ad essa non si chiede la restituzione della tessera al PCI e l’iscrizione all’Associazione delle Figlie di Maria, ma si chiede soltanto un po’ di ragionamento. «Si chiede che essi componenti della massa, prima di obbedire a un ordine del Partito, obbediscano agli imperativi della loro coscienza. In definitiva lo scopo di “Mondo piccolo” (e delle altre rubriche) è quello di cavar fuori dalla massa irragionevole e anonima l’individuo, che – se ha un fondamento buono, come ha in realtà la gente del nostro popolo – è sempre ragionevole.» La distinzione che nostro padre fa tra il comunismo (la miccia) e i comunisti (la bomba) è netta e lo spiega chiaramente illustrando i ‘compiti’ assegnati ai due personaggi ormai immortali di Peppone e don Camillo: «Paragonando la massa a una grossa bomba e l’apparato alla miccia che, accesa, farà esplodere detta bomba, cercare che avvenga tra massa e apparato (tra bomba e miccia) un distacco rap- presentato appunto dal ragionamento individuale e dalla coscienza individuale. «Pertanto: Peppone è un uomo forte, rozzo, violento. È un estremista in politica, come estremisti sono praticamente gli emiliani e i romagnoli. Capace di arrivare, spinto dalla sua faziosità e dalla disciplina di partito, a offendere anche quelle che sono le leggi umane; ma che, davanti a quelle che sono le leggi eterne, divine, si ferma. Arrivato a un certo punto…Don Camillo è solo la bella copia di Peppone e i sistemi che egli usa per riportare Peppone alla ragione sono quelli adatti alla circostanza e al clima forte del paese dove i due vivono: se occorre don Camillo farà balenare la canna di un mitra e sventolerà panche o metterà in moto i colossali pugni. Don Camillo deve essere l’insegnamento positivo della mia storia: davanti alla violenza la borghesia non deve reagire con la viltà o con la violenza, ma con la forza, che è una cosa virile, onesta, civile e ragionata.» I disegni di nostro padre che abbiamo scelto pensiamo che siano l’ideale corollario per illustrare efficacemente la sua battaglia contro il comunismo e, in particolare, quella importantissima condotta assieme a tutti i collaboratori di «Candido» – Manzoni, Mondaini, Montanelli, Mosca, Palermo e Simili – contro il Fronte Democratico Popolare durante la decisiva campagna elettorale del 1948.

da «Comunista sarà lei!», Catalogo della omonima Mostra di grafica curata da Franco Calotti e Cinzia Bibolotti esposta nel 2004 a Busseto, Cervia e Forte dei Marmi

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