Quelle fatte via social nei confronti di Silvia Romano non sono state minacce ma ingiurie e insulti, questo è quel che risulta dagli accertamenti della procura di Milano, che ha anche interpellato Facebook per individuare chi si nascondesse dietro una decina di profili e che alla fine ha chiesto l’archiviazione dell’indagine.
La giovane cooperante rapita in Kenya nel novembre 2018 era stata liberata in Somalia lo scorso 9 maggio e, convertitasi all’islam, al suo rientro in Italia era stata al centro di una pesante compagna denigratoria.
L’inchiesta è stata coordinata da Alberto Nobili responsabile dell’antiterrorismo milanese e affidata al Ros.
Dopo vari approfondimenti su molti messaggi apparsi sui social e riferiti alla ragazza, le indagini, che erano partite sul presupposto di minacce aggravate, sono giunte alla conclusione che anche le frasi inizialmente ritenute minatorie non configurassero il reato ipotizzato ma che andassero qualificate come ingiurie (non è più reato) e insulti diffamatori.
La stessa Silvia Romano ha deciso di non sporgere denuncia (necessaria per procedere con le indagini per diffamazione), così il fascicolo tempo fa è finito all’ufficio gip con allegata una istanza di archiviazione. Ora a pronunciarsi dovrà essere il giudice.
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