Può sembrare fuor di luogo – in uno dei periodi più critici dell’economia globale causato da Covid 19 – parlare di un’altra forma di produzione che viene definita ‘economia circolare’: eppure, come ha sostenuto Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo, proprio la pandemia ha sottolineato l’urgenza di fermare la compromissione dell’ambiente naturale, mettendo in luce la fragilità del modello economico consumistico, proprio dell’economia lineare, fondato sul tipico schema “estrarre, produrre, utilizzare e gettare”. Il modello economico tradizionale, basato sullo spreco, dipende però dalla disponibilità di grandi quantità di materiali e di energia facilmente reperibili e a basso prezzo. i parte da un dato. Nell’Unione europea si producono ogni anno più di 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti.
L’economia circolare implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile. In questo modo si estende il ciclo di vita dei prodotti, contribuendo a ridurre i rifiuti al minimo. Una volta che il prodotto ha terminato la sua funzione, i materiali di cui è composto vengono infatti reintrodotti, laddove possibile, nel ciclo economico. Così si possono continuamente riutilizzare all’interno del ciclo produttivo generando ulteriore valore. Ci troviamo di fronte a un aumento della domanda di materie prime e allo stesso tempo a una scarsità delle risorse: molte delle materie prime e delle risorse essenziali per l’economia sono limitate, ma la popolazione mondiale continua a crescere e di conseguenza aumenta anche la richiesta di tali risorse limitate. Questo bisogno di materie prime crea una dipendenza verso altri Paesi, condizionando in tal mondo la geopolitica stessa dell’Unione. La transizione verso un’economia più circolare – cui è destinata una consistente quota del Recovery Fund – porta numerosi vantaggi, tra cui: riduzione della pressione sull’ambiente; maggiore sicurezza circa la disponibilità di materie prime; aumento della competitività; impulso all’innovazione e alla crescita economica (un aumento del PIL dello 0,5%); incremento dell’occupazione, con la creazione nell’Unione Europea di 700.000 posti di lavoro entro il 2030.
Achille Colombo Clerici
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