Una riforma della giustizia tributaria non è più prorogabile: dalle origini ad un’evoluzione lenta, fino ad arrivare ad un’analisi dei possibili punti cruciali per una revisione del sistema.
Il 20 ottobre 2016 è stata pubblicata l’Ordinanza n. 227/2016 della Corte Costituzionale.
Con Ordinanza del 23 settembre 2014, la Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia aveva sollevato varie questioni di legittimità costituzionale sui Dlgs. 545/92 e 546/92, dubitando, in sostanza, che l’ordinamento e l’organizzazione della giustizia tributaria fossero compatibili con la garanzia di indipendenza del giudice, richiesta dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Secondo la Corte Costituzionale le questioni sollevate erano inammissibili, visto che il rimettente invocava plurimi interventi additivi, diretti a delineare un nuovo assetto della giustizia tributaria, con conseguente indeterminatezza ed ambiguità delle medesime richieste.
La Consulta evidenziava poi che
“un’altra ragione di inammissibilità deriva dal fatto che il giudice a quo ha richiesto a questa Corte plurimi interventi creativi, caratterizzati da un grado di manipolatività tanto elevato da investire, non singole disposizioni o il congiunto operare di alcune di esse, ma un intero sistema di norme, …, nonché, in generale, il sistema organizzativo delle risorse umane e materiali della giustizia tributaria” e “che interventi di questo tipo – manipolativi di sistema – sono in linea di principio estranei alla giustizia costituzionale, poiché eccedono i poteri di intervento della Corte, implicando scelte affidate alla discrezionalità del legislatore”
Al di là della dichiarazione di inammissibilità, la sentenza appariva come una sentenza “monito” per il legislatore ad intervenire sul sistema giustizia tributaria.
Monito, evidentemente, ad oggi ancora non recepito.
Dal contenzioso amministrativo alla necessità di una riforma della giustizia tributaria
Tutto parte, del resto, dall’art. 111 della Costituzione, che stabilisce, al comma 1, che
“la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge” ed al comma 2 che “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”
Tali disposizioni valgono per ogni tipo di processo e quindi anche per il processo tributario.
Il processo tributario nasce però, in origine, come contenzioso amministrativo.
In passato infatti il processo tributario era concepito come la fase contenziosa dell’attività amministrativa di accertamento.
Solo a seguito del riconoscimento della giurisdizionalità delle Commissioni Tributarie fu dunque possibile recepire alcuni dei principi cardine di ogni tipo di processo, che, invece, erano fino ad allora esclusi dal processo tributario, quali, a mero titolo di esempio, la ripartizione dell’onere della prova tra le parti in giudizio e l’applicazione del principio del contraddittorio.
Tali concetti hanno finalmente trasformato il processo tributario in un processo vero e proprio, concorrendo anche ad affermare una specifica (e scientifica) cultura del diritto processuale tributario.
Ma questo è stato il frutto di una lenta conquista, ancora in corso. Ma cosa significa avere diritto ad un giusto processo?
Avere un giusto processo significa innanzitutto avere diritto ad un giudice indipendente ed imparziale.
Solo con la riforma del 1992, del resto, gli artt. 1 e 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dissipando ogni residuo dubbio in ordine alla natura giurisdizionale dei componenti delle Commissioni Tributarie (e quindi in ordine alla necessità della sussistenza dei relativi caratteri di imparzialità ed indipendenza), parlano di vera e propria “giurisdizione tributaria”.
Se però, rispetto a quando il processo tributario era considerato un mero contenzioso amministrativo, non si può negare che siano stati compiuti notevoli passi in avanti, resta però ancora lontano il traguardo di un effettivo giusto processo tributario.
Una riforma della giustizia tributaria non più prorogabile: un difetto di fondo
Permane infatti, in particolare, un difetto di fondo.
La giurisdizione tributaria non è esercitata da magistrati di ruolo, nominati per concorso pubblico per esami.
Un processo è infatti veramente tale solo se i suoi protagonisti (sia il giudice che le parti) sono dei “professionisti” della materia , ad essa dedicati a tempo pieno.
La legge 11 marzo 2014, n. 23, aveva in tal senso già conferito una delega al Governo per la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente ed orientato alla crescita.
Tale delega è rimasta però, purtroppo, in gran parte irrealizzata, laddove il Dlgs. 156/2015 ne ha poi dato solo parzialmente attuazione e per aspetti in gran parte di rilievo non sistematico.
Sono dunque tanti i problemi che ancora oggi affliggono la giustizia tributaria.
E, se si calcolano tutti i procedimenti in giudizio, tali problemi valgono miliardi di Euro.
I numeri su cui intervenire per una eventuale riforma della giustizia tributaria non sarebbero peraltro neppure rilevantissimi, laddove, ipotizzando giudici con impegno a tempo pieno, potrebbe probabilmente bastare, per esempio, anche una giustizia tributaria amministrata da poche centinaia di giudici onorari per le cause “bagatellari” (ancor meno se si prevedesse il giudice monocratico e limiti all’impugnabilità) e poche centinaia di giudici togati per il le cause sopra “soglia”.
Attribuire invece la giurisdizione tributaria a sezioni specializzate dell’autorità giudiziaria civile (come paventato da alcuni progetti pendenti in Parlamento) significherebbe travolgerla con migliaia di nuovi processi dall’elevato profilo tecnico e, quindi, aggravare la crisi della giustizia ordinaria.
Una riforma della giustizia tributaria: da dove partire
Meglio sarebbe allora prendere spunto dalla positiva esperienza della Sezione Tributaria presso la Corte di Cassazione, la quale conferma che la specificità della materia fiscale impone ormai che nel processo tributario operino tanto un soggetto qualificato e indipendente, che decida, quanto un soggetto, altrettanto qualificato e deontologicamente preparato, che assista in giudizio le parti.
La prima trasformazione legislativa che, in linea anche con gli altri ordinamenti europei, viene in mente è, in conclusione, quella dell’istituzione di un giudice professionale togato, specializzato e a tempo pieno, magari affiancato da un giudice onorario per le liti di valore minore, similmente a quel che accade nella giustizia civile con il giudice di pace.
Insomma, una vera e propria riforma della Giustizia tributaria che faccia assurgere il processo tributario al rango che certamente gli spetta.
E questo passando anche attraverso una revisione dell’istituto della mediazione.
Come noto, infatti, per i giudizi fino a 50.000 Euro vi è, ai sensi dell’art. 17 bis del Dlgs 546/92, una fase di mediazione stragiudiziale obbligatoria.
L’istituto della mediazione tributaria stragiudiziale, introdotto nel 2012 per i soli atti dell’Agenzia delle Entrate ed esteso a partire dal 2016 anche per tutti gli altri enti impositori, ha dato e sta dando buoni risultati, avendo comportato un abbattimento delle cause di circa il 50%. L’istituto dunque deve essere rafforzato, ma reso anche più “trasparente”.
In ogni caso, laddove, sia al fine di garantire maggiore terzietà rispetto alla mediazione/reclamo e sia al fine di consentire un ulteriore effetto deflativo del contenzioso, si volesse rivedere la fase di “accordo” tra le parti, si potrebbe per esempio prevedere che il terzo “mediatore” sia un Giudice (terzo), che proponga alle parti un accordo conciliatorio, magari prevedendo poi meccanismi di “sanzione” per chi non accetti di chiudere la controversia secondo l’accordo proposto e poi risulti soccombente.
Una riforma della giustizia tributaria: i possibili punti fondanti
La gestione della conciliazione/mediazione obbligatoria da parte di un’apposita “Sezione Conciliazione/Mediazione”, composta da giudici onorari non togati, anche laddove si perseguisse la strada di una giustizia tributaria con giudici togati professionisti, conserverebbe del resto anche un ruolo all’attuale giustizia tributaria non togata, libererebbe da dispendiose competenze i giudici togati, che si potrebbero concentrare sulle cause di maggiore rilevanza, e garantirebbe un’effettiva terzietà nel procedimento di mediazione/conciliazione (oggi lasciato solo allo stesso Ente che ha emesso l’atto impugnato).
I procedimenti corrispondenti alla soglia di valore della mediazione, non conclusisi con mediazione, potrebbero poi essere gestiti da un giudice monocratico, le cui sentenze potrebbero essere solo limitatamente appellabili.
Così si assorbirebbe in tempi rapidi tutto il contenzioso bagattelare e ci si potrebbe concentrare sul vero contenzioso che vale 50 volte tanto!
E gli effetti poi sul contenzioso in Cassazione (anch’esso ormai “ingolfato”) dovrebbero vedersi in tempi abbastanza rapidi.
Tanto questo è ormai chiaro che sono vari i progetti oggi pendenti in Parlamento, con peraltro alcune direttrici comuni.
Prendendo in considerazione i principali progetti di legge, vi sono infatti vari punti comuni alle varie proposte, tra cui:
- a) Creazione di una quarta magistratura, separata dalle altre e strutturata in organi (Tribunali tributari e Corti d’appello tributarie), che, anche nel nome, richiamino l’attività giurisdizionale;
b) Progressivo ridimensionamento dei giudici onorari, fino al ricorso esclusivo a giudici professionisti e a tempo pieno, remunerati in modo adeguato e selezionati in base a un concorso pubblico, per titoli ed esami, analogo a quello dei magistrati ordinari;
c) Rafforzamento dei presidi di indipendenza e terzietà, con il trasferimento dei compiti di organizzazione della giurisdizione tributaria oggi attribuiti al Mef;
d) Rafforzamento della figura del giudice monocratico;
e) Profonda innovazione dell’istituto della mediazione.
Dalla lettura delle suddette linee, emerge dunque chiaramente come vi sia (stranamente) una convergenza quasi univoca di tutto lo spettro parlamentare su quelli che dovrebbero essere i punti fondanti della riforma. E allora perché attendere ancora?
Giovambattista Palumbo – FISCO
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