Le voci cominciano a moltiplicarsi. Roberto D’Alimonte sull’HuffPost, Walter Veltroni sul Corriere, Luigi Zanda su Repubblica. I politici e i politologi più avveduti insistono affinché il Parlamento non perda l’occasione di questa vaga concordia nazionale e nel tempo sospeso del governo Draghi vari quelle riforme istituzionali in mancanza delle quali continueremo ad aver bisogno di non politici per supplire alle carenze strutturali della Politica.
È quello che, nel mio piccolo, ho sostenuto mercoledì scorso nell’aula del Senato durante la discussione generale sulla fiducia al governo. Sono partito da un assunto: Mario Draghi non è la causa, ma l’effetto della crisi della politica. Assunto basato su quella che considero una regola generale: quando un ordine, un potere o una personalità esterna occupano gli spazi vitali della Politica, la colpa è sempre della Politica e del sistema istituzionale di cui la Politica é al tempo stesso figlia e madre. Per l’Italia, si tratta di un problema ultrattentennale. Da quando, nel 1989, il sistema politico della Prima repubblica rimase schiacciato sotto le macerie del Muro di Berlino in quanto non più “necessario”, salvo un paio di eccezioni la politica economica e sempre stata affidata ad un “tecnico”, abbiamo avuto ben 21 governi (uno ogni anno e mezzo), l’ordine giudiziario ha messo in scacco il potere esecutivo, ogni volta che siamo stati investiti da una crisi globale complessa il compito di salvare l’Italia è stato attribuito ad un non politico.
È chiaro che abbiamo un problema strutturale che pregiudica la capacità dei governi di governare e che rende ingestibili per via ordinaria le periodiche crisi congiunturali.
I nodi da sciogliere sono noti:
-La forma di governo.
-Il ruolo del Parlamento e la qualità del processo legislativo.
-Il bicameralismo partitario.
-I rapporti tra Stato centrale e regioni.
-L’efficenza e l’efficacia della pubblica amministrazione.
-Il ruolo dei partiti politici e la concreta attuazione dell’articolo 49 della Costituzione.
-La formazione delle classi dirigenti e la mancanza di una scuola di alti studi su modello dell’Ena francese.
A proposito della Francia. Noi tutti, oggi, invidiamo la solidità e l’efficienza dello Stato francese, ma dimentichiamo che la Quarta repubblica era inefficiente, inefficace, corrotta, con governi deboli che ogni sei mesi cadevano come foglie secche battute dal vento. A cambiare le cose sono stati un uomo, Charles de Gaulle, e un contesto politico grazie ai quali nacque la Quinta repubblica. Dopo di che quell’uomo si congedò con un pretesto dall’agone politico e prese posto nella Storia.
Si presenta in questa fase al Parlamento e a Mario Draghi un’occasione storica simile, e potrebbe essere l’ultima: l’occasione di modernizzare lo Stato italiano. Non coglierla sarebbe imperdonabile. Sarebbe imperdonabile perché in un mondo globalizzato, mai come oggi privo di ordine geopolitico e attraversato da tensioni e cambiamenti tanto profondi quanto repentini, nuove pandemie ed altre crisi d’ogni genere attendono senz’altro l’Italia. Ma non è affatto detto che la prossima volta arrivi un Mario Draghi. Potrebbe non arrivare nessuno o, il che in epoca di recessione democratica è probabile, potrebbe arrivare un malintenzionato.
Limitarsi a votare la fiducia al governo Draghi senza averne altrettanta nella nostra capacità di parlamentari di onorare l’Istituzione che rappresentiamo provando a raddrizzare una volta per tutte il legno storto dello Stato italiano sarebbe più di un errore: sarebbe una colpa. Una colpa grave. Una colpa che i nostri figli un giorno ci rimprovereranno.
Blog Andrea Cangini senatore Forza Italia
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