Dare esecuzione alla richiesta di De Rita, alla missione di Draghi, alla ricostruzione del Paese

Attualità

Giuseppe De Rita, il ragazzo del secolo scorso che non ha perso la lucidità, conoscendo il passato, di indagare il presente e progettare il futuro, dice a Mario Ajello in un’intervista da conservare: “La richiesta che sta nascendo e che nei prossimi mesi, se l’incubo contagio diminuisce, si prenderà la scena la riassumo così: dateci una motivazione esistenziale, lavorativa, economica, sociale, per andare avanti”.

Già, perché i ragazzi del secolo scorso, dotati di intelligenza e armati di concretezza, sanno che è la motivazione a muovere l’umano e a far girare la carta del mondo, è una meta possibile indicata da un leader credibile a segnare il passaggio dalla depressione all’azione, a scuotere dalla paura e dalla rassegnazione.

Continua il presidente del Censis: “Quando sarà risolto il problema della paura, la gente si aspetta da Draghi un discorso del tipo: ho risolto l’emergenza sanitaria, e adesso vi dico su che cosa possiamo motivarci tutti insieme. Dovrà entrare nella testa di ciascuno e fare in modo che ognuno si sentirà motivato. Dopo la seconda guerra mondiale, eravamo motivati come matti a ripartite. E anche negli anni ’70, quando facevamo economia sommersa, nel boom delle piccole imprese, nell’inizio della grande stagione del made in Italy. Eravamo fortemente motivati quando disegnavamo lavatrici e scarpe”.

Insomma, occorre tornare a disegnare, a intraprendere, ad agire, ad andare oltre l’osservazione delle vetrine senza entrare nei negozi. Non è vero che andrà tutto bene, se non saranno liberate le energie per tornare a sognare e a credere in qualcosa di diverso e di concreto, in qualcosa, per dirla con un termine purtroppo caduto in disuso, di materiale, che si possa toccare con mano, qualcosa di non fumoso pronto a disperdersi nell’aria.

Tocca alla classe dirigente, se c’è ancora una classe dirigente, indicare il cammino e mettere il Paese in condizione di affrontare il viaggio con tenacia, senza disperarsi. Gli italiani hanno dato prova di sapersi arrangiare e di sapercela fare quando tutto sembrava indicare il contrario.

La “zona Cesarini” è il nostro forte e i tempi supplementari di certo non ci spaventano. Temiamo i rigori, il dentro o fuori legato a un unico tiro, spesso balordo, ma non temiamo la ricostruzione di un Paese che, come quella di un amore nel famoso brano di Ivano Fossati, “spezza le vene delle mani, mescola il sangue col sudore, se te ne rimane”. Sappiamo avere il passo sostenuto e il respiro lungo, ma abbiamo bisogno di un quadro istituzionale e politico in grado di reggere l’urto di una tragedia epocale e di andare oltre, di rilanciare la sfida, di muovere gli umori, le resistenze e le diffidenze di un popolo stanco, sfibrato, di un popolo che stenta a credere dopo le tante delusioni accumulate negli anni.

Gabriele Salvatores ha detto che con il virus ha capito cos’è la solitudine, ma crede nei giovani. E i giovani in chi debbono credere? La solitudine sperimentata dagli italiani in questi anni di politica insensata e sciagurata, la lontananza del Paese immaginario da quello reale, ci hanno consegnato un’altra possibilità, che non è mai l’ultima possibilità, ma è una possibilità di governo affidabile, guidato da chi ha dimostrato nel tempo di saper agire con mano ferma e risoluta.

Siamo nella fase della lotta e dell’attesa. La responsabilità di chi è stato indicato come “migliore” è altissima. La richiesta di De Rita è la richiesta (e la speranza) di tutti gli italiani. La missione del presidente Draghi è di dare risposta alla richiesta e corpo alla speranza, perché la ricostruzione dell’Italia ripagherebbe del dolore e dello sforzo, perché l’Italia non è “un altare di sabbia in riva al mare”.


blog Davide D’Alessandro 
Saggista

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