Milano Scomparsa: quando il “politicamente corretto” assume forme di totalitarismo (anche nell’arte)

Milano
In questi tristi tempi si cancella la Storia per riscriverla cento, duecento, cinquecento anni dopo, senza minimamente considerare i cambiamenti nell’ordine morale, etico, civile e nelle coscienze delle masse, dove vengono rimosse le statue di Cristoforo Colombo, imbrattate statue, modificate targhe, vandalizzati monumenti, dove la follia ideologia del Politicamente Corretto assume forme di totalitarismo neopuritano o di iconoclastia rivolta non più contro le immagine ma contro le parole e i monumenti.
Ma Carlo Marx un secolo e mezzo fa scrisse che “La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”, ecco che poco più di un secolo fa, a Milano, il Politicamente Corretto dell’epoca, cioè i diktat di puritanesimo ecclesiale, colpirono proprio due opere del medesimo scultore.
Nel 1891 la vedova di Stefano Branca comprò un lotto per realizzare un monumento funebre nel Cimitero Monumentale, nell’emiciclo di levante subito fuori dal Famedio.
Maria Scala commissionò allo scultore  milanese, studi a Brera e artefice del monumento al Cavallotti di via Senato e di Garibaldi a Monza, un monumento per ricordare l’amato coniuge. Stefano Branca era figlio di Bernardino, farmacista e inventore, nel 1845, del celebre Fernet Branca.
Il Bazzaro completò il suo monumento nel 1901, con una scultura che voleva rappresentare la salita dell’anima del Branca verso il cielo, “Volo dell’Anima”.
La splendida scultura diede il via ad un cambio stilistico in quel colossale museo d’arte a cielo aperto che è il Monumentale. Assieme al “Sogno” di Bistolfi aprirono le porte al Simbolismo, abbandonando le consuete figure di madri e figli dolenti e in pose struggenti, accasciati sulle tombe. La figura che ascende al cielo, sorretta dall’angelo, è pienamente donna, con abbondanti seni e forme sensuali, in una posa di estasi pura. Un vero e proprio capolavoro della scultura moderna.
La committenza, pur apprezzando l’opera, lamentò l’eccessivo costo, l’assenza di una croce e la presenza di “troppi putti”. Bazzaro si lamentò invece del costante ritardo dei pagamenti, delle interferenze della signora Sala.
Ciò nonostante vi vennero subito traslati i corpi dei genitori di Stefano e dei suoi due fratelli.
La stampa cattolica invece iniziò un’operazione di massacro continuo dell’opera del Bazzaro, giudicandola un capolavoro ma assolutamente priva “di quel soffio dolce e cristiana poesia alla quale deve ispirarsi qualsiasi lavoro che voglia cantare il dolore umano confortato dalla speranza nell’aldilà”.
Le cose tra committenza e artista continuarono a peggiorare, arrivando al punto che nel 1905 la signora Sala contattò lo scultore Vedani, anche lui di Brera e l’architetto Boni per far realizzare un nuovo monumento, in sostituzione di quello del Bazzaro.
L’anno successivo il Bazzaro completò il suo splendido monumento a Felice Cavallotti, ritratto come un Leonida a riposo; il monumento al fondatore dell’Estrema Sinistra Storica, partito laico, repubblicano, radicale e ispirato dal Cattaneo e dal Pisacane venne posto in Piazza della Rosa, esattamente davanti alla Biblioteca Ambrosiana, il cui Prefetto era Achille Ratti. Questi scrisse acidissime lettere al Bazzaro, pregandolo di spostare quel laico monumento in altro luogo, definendolo “monumento all’inciviltà”.
Nel 1907, tra l’altro, Papa Pio X emanò l’enciclica Pascendi Dominici gregis, una totale e brutale condanna del Modernismo, sotto ogni sua forma e ancor più dura era contro il Modernismo Milanese, quella forma di teologia ispirata dagli arcivescovi ambrosiani che cercava una via di conciliazione tra istanze cattoliche e Stato liberale.
Il messaggio per i cattolici milanesi era chiarissimo e, nonostante un accorato appello pubblicato sui quotidiani di Wildt, Sommaruga e decine di artisti lombardi, l’opera del Bazzaro venne così rimossa nel 1908, dopo una lunga causa in tribunale che vide il Bazzaro uscire (ovviamente) sconfitto e costretto a pagare le spese legali.
A concorrere alla rimozione della statua ci fu anche lo scoppio dello “Scandalo della Cà di Ciapp”, cioè dello splendido palazzo di Corso Venezia 47, opera sublime del Sommaruga e che vide proprio il Bazzaro artefice delle sculture in facciata, opere iniziate nel 1901, subito dopo aver finito il “Volo dell’Anima”.
Quando nel 1903 furono levate le cesate e i ponteggi, il portale monumentale di ingresso del palazzo mostro ai suoi lati due enormi statue di donne giunoniche che mostrava il loro “lato b” in bella vista sulla strada. Due sculture splendide, la Pace e l’Industria, perfette per il palazzo in puro Liberty.
Anche in questo caso la stampa cattolica e i puritani che passeggiavano sul corso storsero il naso e lo stillicidio di articoli contro quelle due statue “inutilmente ignude”, iniziò.
La proprietà, la famiglia Castiglioni, non volendo scontri col clero, decise di far rimuovere le statue già dopo soli 8 giorni. Obbligò il Sommaruga a riprogettare l’ingresso e nel giugno del 1903 venne presentata la variante in Comune.
Il povero Bazzaro vide così le statue della Cà di Ciapp finire in un magazzino nel 1903 e il monumento Branca venire venduto alla famiglia di industriali del cotone Ottolini, che la portarono nella loro splendida villa di Busto Arsizio nel 1908.
Nel 1914 le due giunoniche statue di Palazzo Castiglioni vennero però tirate fuori dai magazzini e riutilizzate dal Sommaruga per la nuova Villa Faccanoni, che andava costruendo in piena periferia, a nord del quartiere della Maddalena, nei pressi della Piazza d’Armi, villa che oggi è nota come Clinica Columbus.
Peggior sorte toccò al “Volo dell’Anima”, che finì a Busto Arsizio; Bazzaro tentò di ricomprarle nel 1913, per la cifra di 12.000 lire. Gli Ottolini rifiutarono, ma l’opera fece una terribile fine tre decenni dopo, quando venne requisita durante la Repubblica Sociale e fusa per riutilizzarne i metalli.
Il monumento al Cavallotti riuscì a rimanere in Piazza della Rosa, anche dopo che il Prefetto Ratti divenne Papa Pio XI; questi continuò a spingere per lo spostamento della statua, facendo pressioni anche sul Podestà di Milano con una serie di lettere del 1927. Il Bazzaro propose così di fondere in bronzo una copia del monumento a spese del Comune e di porlo in altra piazza, ma ottenne un rifiuto.
Ernesto Bazzaro morì nel maggio del 1937 e due anni dopo, per diretto interessamento di Mussolini e su probabile spinta dell’appena eletto Papa Pio XII, il monumento al Cavallotti venne smontato e portato ai Giardini della Guastalla, dove rimase pochi mesi prima di finire pure lui nei magazzini comunali di via Pompeo Leoni, da cui fu poi “riesumato” nel 1952 per porlo in via Senato angolo Marina, dove si trovava già il monumento a Giacomo Medici del Vascello, andato distrutto da una bomba nel 1943.

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