Stamattina il parcheggio è libero e nel piazzale non c’è nessuno. Così fermo la macchina proprio davanti al cancello d’ingresso. Scendiamo, e gli sportelli che si chiudono rimbombano nel silenzio di questa mattina ancora fresca, ma già piena di sole ad annunciare l’arrivo della primavera. Non c’è nessuno davanti scuola, solo io e mio figlio Matteo, 13 anni, che frequenta la seconda media.
La regione Lazio, e quindi Roma dove viviamo, è passata in zona rossa, perciò le scuole sono state chiuse tranne che per i ragazzi disabili come lui che è autistico, a cui é stato riconosciuto il diritto di frequentare in presenza dato che la didattica a distanza non è efficace.
Suono il campanello e sento il click del cancello che si apre. All’ingresso ci aspettano l’insegnante di sostegno, l’operatore educativo comportamentale e una collaboratrice scolastica. Matteo non dice nulla, d’altra parte è un autistico non verbale, cioè non parla. Mi guarda e si guarda attorno sedendosi sulla panca che si trova all’entrata. Appare spaesato dal silenzio intorno a noi. Penso si chieda dove siano gli altri studenti con il loro vociare, i suoi compagni di classe e i suoi amici che lo salutano sempre con affetto quando arriva. Lo guardo e mi guardo attorno anch’io un po’ spaesato. Provo strani sentimenti così saluto rapidamente e mi allontano.
In questi giorni ripenso spesso a quella mattina del 18 marzo e al senso di solitudine che ho provato. Una solitudine e un dolore che solo chi ha un figlio disabile può capire. Provate a immaginare un lockdown che duri tutta la vita. Riuscite a immaginarlo? No, non ci riuscite, come non riuscite a immaginare un figlio che a 13 anni non riesce ancora a scrivere il suo nome o a dirvi che non sta bene. È normale.
Come vorrei essere fra voi; leggere qualcuno di voi che al posto mio abbia scritto quello che ora sto scrivendo io.
Quanto mi piacerebbe un figlio che parli, che esca con gli amici, che abbia i piccoli, grandi problemi di un adolescente. Che si scontri con il suo papà e che possa anche rispondermi male. Ma che non mi faccia stare qui, stasera, a scrivere di quella mattina.
Negli ultimi giorni sentiamo dire che con la campagna vaccinale in corso presto si tornerà alla normalità.
Quando questo periodo d’emergenza sarà finito non dimenticatevi delle vostre passeggiate da soli, delle serate in casa annoiati, dell’impossibilità di andare a cena da amici, a un concerto o anche solo a messa se siete credenti. E quando vedrete un ragazzo autistico non cambiate strada.
Camminategli accanto come se nulla fosse. Date a lui e ai suoi genitori quella parvenza di normalità che questa sindrome fa di tutto per togliere, come la pandemia ha tolto a voi la normalità.
Con l’arrivo del 2 aprile, giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo, unitevi a noi. Insieme il mondo farà meno paura e ci apparirà più bello. E se mio figlio vocalizza o sfarfalla le braccia non impressionatevi, è il suo modo di manifestare le emozioni, che Matteo mi ha insegnato possono essere espresse nei modi più diversi, anche con un semplice sorriso, senza parole.
Blog Marco Sabatini Scalmati
Giornalista pubblicista e Responsabile Media Relations di una Società pubblica
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