A cura di Carmelo Calabrò
Socrate resta sempre una figura di maestro pensatore molto difficile per lo storico, e il suo pensiero indubbiamente rappresenta una tappa fondamentale nella storia della filosofica occidentale.
E’ infatti il primo grande pensatore del mondo antico e della filosofia greca che ha influito con tratti inconfondibili e sorprendenti sulla storia dello spirito umano e le sue parole pronunciate lontano nel tempo hanno avuto un’eco profondo nella ricerca incessante della verità. Sulla figura storica di questo filosofo così sorprendente sappiamo ben poco, giacché né Platone e neppure il versatile scrittore storico, Senofonte, ci hanno dato notizie precise sulla vita o del suo lavoro.
Sembra che Socrate, fosse nato, nel Demo Alopece, un piccolo sobborgo di Atene, alle pendici del Licabetto, intorno agli ultimi anni della guerra persiana (470/469 A.C), figlio dello scultore Sofronisco, operante nel quartiere del marmo di Atene e probabilmente legato all’aristocrazia della città, e della levatrice Fenarete. Della sua infanzia, della giovinezza, e della sua formazione, non sappiamo quasi nulla. E’ probabile che da giovanotto lavorò nella bottega del padre come scultore di statue, e cominciò ad interessarsi di filosofia, accostandosi all’opera di Anassagora, il pensatore, che aveva “importato” ad Atene e in Grecia, la filosofia, fino a quel momento esercitata solamente nelle colonie ioniche e della Magna Grecia. Sappiamo che Socrate, più in là negli anni, partecipò da buon soldato, a tre campagne militari, (Portidea, Delio e Anfipoli) legate alla guerra del Peloponneso. Furono queste le uniche esperienze, in cui si allontanò dalla sua città di origine. Ad Atene il filosofo, si distinse per il rispetto delle leggi e per la sua attività di conversatore instancabile. Visse con la moglie Santippe, dalla quale avrebbe avuto tre figli. Ad Atene, Socrate, ben presto si dedicò esclusivamente all’indagine filosofica, che egli sentì per tutta la vita come una ispirazione divina, in grado di orientare la società verso il bene. Fin dal mattino, trascorreva le sue giornate accompagnandosi con persone di ogni età ed estrazione sociale, tenendo discorsi nei luoghi pubblici, senza però pretendere alcun compenso per i suoi insegnamenti. Gli studiosi oggi, ritengono, che Socrate doveva essere un personaggio con una bontà d’animo, ma particolarmente pittoresco, per il suo carattere bizzarro, ricco d’ironia e l’uso insidioso della parola.
Il suo colloquio si svolgeva sempre in forma di discussione (dovunque trovava uomini desiderosi di ascoltarlo) con la logica stringente delle sue domande precise, minute e incalzanti dirette agli interlocutori. Il suo metodo filosofico, la grande abilità di dialettizzare, consisteva di dimostrare che alcune convinzioni o idee preesistenti erano errate, e che solo attraverso il vero dialogo ci si liberava dai concetti sbagliati e si arrivava a capire ciò che bene fare. La missione genuinamente filosofica di Socrate era quella di riscattare gli uomini dalle tenebre dell’ ignoranza affidandosi unicamente alla forza e al rigore del ragionamento. Gli uomini dovevano sforzarsi di individuare e sviluppare dentro di sé, nell’interiorità della propria anima, i germi della verità al fine di chiarire che un’azione giusta è frutto di giusta conoscenza mentre un’azione immorale scaturisce dall’errore e dall’ignoranza. Socrate, con la semplicità del suo parlare, discuteva di tutto e affermava continuamente di non sapere niente, (fingendosi dapprima ignorante) diversamente dagli altri che sapevano tutto. Quando elaborava una sua riflessione, era capace di discutere per delle lunghe ore e talvolta s’aggirava a piedi nudi per i portici, per i ginnasi vicino alle colonne decorative e rosate del Partenone, discutendo nel senso del suo filosofare, del giusto e dell’ingiusto, del santo e dell’empio, del bene e del male.La sua forza era l’ironia, (dal termine greco, eironèia, simulazione) una tecnica da lui inventata che adoperava spesso, talvolta sorridente e bonaria, talvolta per ragioni diverse, amara e impetuosa e piena di scherno. Questo filosofo così sorprendente e originale dialogando con i suoi interlocutori, compresi maestri e sapienti del tempo, poneva con occhi penetranti una serie di domande incalzanti su un certo argomento, ad esempio opinioni riguardanti la virtù, il bene, il male, il giusto, l’ingiusto ecc., provocando dagli avversari risposte via via sempre più contradditorie e vuote di contenuto. Socrate fingendosi del tutto ignorante ed enfatizzando la sapienza altrui, si limitava a con raffinatezza discorsiva a rivolgere una serie di questioni, apparentemente ingenue, ma in realtà articolate in modo da demolire poco per volta le tesi erronee o superficiali degli avversari che finivano con non sapere più rispondere. A questo punto, nell’indagine socratica subentrava il momento “maieutico”, il cui fine era quello sostanzialmente di far capire quanto fosse importante ricercare sempre e incessantemente la verità, senza mai accontentarsi di formule scontate e superficiali. Socrate paragonò, a quanto pare, quel continuo metodo filosofico, al mestiere di “ostetrico della verità” (non per nulla era figlio di una levatrice) con la differenza che egli aiutava con la maieutica (in greco. maieutikè, arte della levatrice)gli esseri umani a “partorire” attraverso un dialogo fatto di domande e risposte, non i corpi, ma le idee per il giusto in quanto la verità era innata nell’animo di ogni uomo e che perciò si trattava solo di farla opportunatamente e gradatamente venire alla luce. Per Socrate solo chi conosceva la verità, infatti, poteva operare il bene, comportarsi virtuosamente, e pervenire largamente alla vita buona e alla felicità. Socrate non faceva politica, non era interessato a conseguire cariche pubbliche importanti. La filosofia era, per lui, vita azione: tutti gli uomini dovevano migliorarsi moralmente, e il filosofo doveva soprattutto promuovere, in sé e negli altri, questa riforma morale. Come tutti i filosofi greci, Socrate non si interessò direttamente del problema del diritto. Come i sofisti, egli rilevò l’aspetto pratico delle leggi, il loro carattere di utilità per la convivenza sociale, il valore assoluto ed eterno: la sottomissione alla legge, insieme con l’adesione ai precetti morali, era infatti, per Socrate, la sola via che assicurava una durevole felicità. Socrate insegnava alla gente che una legge, anche se cattiva, non si deve violare, e non bisogna far prevalere il proprio interesse personale; al male non si deve mai rispondere col male, né compiere una controgiustizia. Era meglio subire un’ingiustizia che compierla. E lui, per nessuna ragione, lo sappiamo, sceglierà di commettere un’ingiustizia; non solo verso gli altri, ma neanche verso se stesso. Di conseguenza, alla luce di questa idea di vita filosofica, Socrate metteva gli esseri umani faccia a faccia con se stessi e non accettava nulla in modo passivo; sottoponeva tutto a esame critico, anche le posizioni dei sofisti, che tendevano a cristallizzare il loro insegnamento stringente in formule sempre identiche e con sottilissimi cavilli ripetitivi. Egli non fece mai, come i sofisti, professione di sapienza: anzi diceva, che non si poteva conoscere alcunchè se non si partiva dal riconoscere la propria ignoranza.
A settant’anni Socrate venne accusato di ateismo e di svolgere azione corruttrice. Dal punto di vista giuridico, e sulle cause del processo e della condanna, si è discusso moltissimo. L’accusa nei suoi confronti era molto pesante. I capi di accusa contro Socrate erano: di non venerare le divinità cittadine e del suo Stato, d’introdurre anzi nuovi suoi dei, “daimònia, nuove entità divine, di corrompere i giovani cui insegnava delle dottrine. E gli accusatori erano, Meleto, modestissimo poeta tragico, l’oratore e demagogo Licone, e infine, Anito, al tempo, un uomo politico e militare ateniese, molto potente e rispettabile. Tuttavia, dietro a tali accuse, si nascondevano risentimenti di vario genere, e complesse manovre politiche, insomma, motivazioni per mandarlo a morte. In ogni caso, non abbiamo testo di ciò che Socrate disse a propria difesa durante il processo. Fu Platone (che fu l’allievo più brillante di Socrate) a scriverla nell’Apologia di Socrate, impersonando il tenore generale della sua autodifesa. Il processo di Socrate si svolse nell’Agorà, pare in un solo giorno, com’era d’uso in quell’epoca. Dopodiché, così stando le cose, come previsto dalle leggi del tribunale ateniese, Socrate, fu condannato a morte. La sentenza che lo condannava per “empietà” era consapevolmente infondata. Secondo gli studiosi, prima che la condanna venisse eseguita, Socrate dovette rimanere in prigione per alcuni giorni, nel corso del quale Critone, suo amico fin dall’infanzia. preparò per lui un piano di fuga. Ma nonostante questo, il filosofo tuttavia non scelse di fuggire dal carcere di Atene, ma bensì si sentì in obbligo di rispettare la sentenza, sebbene fosse ingiusta, pur di rispettare le leggi della sua città. Il filosofo trascorse l’ultima giornata in carcere, circondato dai suoi discepoli e amici, discutendo e conversando con loro di filosofia, come aveva fatto per la maggior parte della sua vita. Secondo le antiche fonti, poco prima di morire Socrate, s’incontrò per l’ultima volta con la moglie Santippe e i suoi tre figli, e poi dopo averli abbracciati affettuosamente, li invitò ad uscire dalla cella. Poi senza ritardare un momento, Socrate, si chiuse in un silenzio reverente, e poi bevve, tutto d’un fiato, la cicuta, (secondo la legge ateniese), circondato dagli amici più cari. Socrate prevedeva questo risultato e indubbiamente non aveva voluto evitare la pena capitale mediante eventuali concessioni o compromessi che potevano far credere che egli riconoscesse la sua colpa. Socrate morì per obbedire alle leggi della sua città e per rimanere fedele a se stesso, ai sui principi e alla sua legge interiore.
Riferimenti Bibliografici
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