Laurearsi conviene anche oggi. L’88% lavora a 5 anni dal titolo

Attualità

Il rapporto di AlmaLaurea: lo stipendio è di 1500 euro. Mediamente, ci si laurea a 26 anni con un voto di 103/110. Pesa il contesto familiare 

– Laurearsi conviene ancora. E’ quanto rileva il Rapporto 2021 di AlmaLaurea sul Profilo dei laureati. All’aumentare del livello del titolo di studio posseduto diminuisce, infatti, il rischio di restare ‘intrappolati’ nell’area della disoccupazione. I laureati godono di vantaggi occupazionali importanti rispetto ai diplomati di scuola secondaria di secondo grado durante l’arco della vita lavorativa: secondo la più recente documentazione Istat, nel 2020 il tasso di occupazione della fascia d’età 20-64 è pari al 78% tra i laureati, rispetto al 65,1% di chi è in possesso di un diploma. Inoltre, la documentazione più recente Oecd a disposizione evidenzia che, nel 2018, un laureato guadagnava il 37% in più rispetto a un diplomato di scuola secondaria di secondo grado

A 5 anni lavora l’88% dei laureati

Sui laureati a cinque anni, già da tempo entrati nel mercato del lavoro, gli effetti della pandemia sono stati, nel 2020, decisamente più contenuti rispetto ai neolaureati. Nel 2020, a 5 anni dal conseguimento del titolo di laurea, il tasso di occupazione è pari all’88,1% per i laureati di primo livello e all’87,7% per i laureati di secondo livello. Rispetto alla precedente indagine risulta in calo di 0,6 punti percentuali tra i laureati di primo livello e in aumento di 0,9 punti tra i laureati di secondo livello.

La pandemia ha colpito le donne e il Centro-Nord

Tuttavia nel 2020 il tasso di occupazione è diminuito di 4,9 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 3,6 punti per quelli di secondo livello.
In termini di tasso di occupazione, la pandemia sembra aver colpito soprattutto le donne e le aree del Centro-Nord.  Nel 2020 il tasso di occupazione (che include anche quanti risultano impegnati in attività di formazione retribuita) è pari, a un anno dal conseguimento del titolo, al 69,2% tra i laureati di primo livello e al 68,1% tra i laureati di secondo livello del 2019

Lo stipendio è di 1.500 euro

Nel 2020, a 5 anni dalla laurea, la retribuzione mensile netta è pari a 1.469 euro per i laureati di primo livello e 1.556 euro per i laureati di secondo livello. Rispetto all’analoga rilevazione dello scorso anno si registra un aumento delle retribuzioni pari a +4,3% per i laureati di primo livello e +4,0% per quelli di secondo livello. Tali incrementi si inseriscono in un contesto caratterizzato da alcuni anni di tendenziale aumento delle retribuzioni. Nel 2020, a cinque anni dal conseguimento del titolo, la forma contrattuale più diffusa è il contratto alle dipendenze a tempo indeterminato, che riguarda oltre la metà degli occupati. Oltre il 65,0% degli occupati, a cinque anni, considera il titolo di laurea “molto efficace o efficace” per lo svolgimento del proprio lavoro. La retribuzione mensile netta a un anno dal titolo di laurea è nel 2020, in media, pari a 1.270 euro per i laureati di primo livello e a 1.364 euro per i laureati di secondo livello. 

Gli italiani si laureano a 26 anni

L’età media alla laurea per il complesso dei laureati del 2020 è pari a 25,8 anni: 24,5 anni per i laureati di primo livello, 27,1 per i magistrali a ciclo unico e 27,2 anni per i laureati magistrali biennali. Un dato che tiene conto anche del ritardo nell’iscrizione al percorso universitario (si tratta del ritardo rispetto alle età ‘canoniche’ dei 19 anni, per la laurea di primo livello e per quella a ciclo unico, e di 22 anni, per la magistrale biennale), che tra i laureati del 2020 in media è pari a 1,4 anni. L’età alla laurea è diminuita in misura apprezzabile rispetto all’ordinamento universitario precedente alla Riforma D.M. n. 509/1999 e ha continuato a decrescere (era infatti 26,9 anni nel 2010) fino al 2018, per poi rimanere pressochè costante. La regolarità negli studi, che misura la capacità di concludere il corso di laurea nei tempi previsti dagli ordinamenti, ha registrato recentemente un miglioramento costante e marcato, seppure nell’ultimo anno per effetto della proroga della chiusura dell’anno accademico concessa agli studenti per l’emergenza Covid-19. Se nel 2010 concludeva gli studi in corso il 39,0% dei laureati, nel 2020 la percentuale raggiunge il 58,4%, in particolare il 64,3% tra i magistrali biennali, il 57,7% tra i laureati di primo livello e il 48,6% tra i magistrali a ciclo unico.

Ci si laurea con 103 su 110

Peraltro, se dieci anni fa a terminare gli studi con quattro o più anni fuori corso era il 14,8% dei laureati, oggi la quota si è quasi dimezzata (7,6%). Il voto medio di laurea è sostanzialmente immutato negli ultimi anni (103,2 su 110 nel 2020, era 103,0 su 110 nel 2010), ma con variazioni apprezzabili per tipo di corso di laurea: 100,1 per i laureati di primo livello, 105,6 per i magistrali a ciclo unico e 108,0 per i magistrali biennali. Fra i laureati magistrali biennali la votazione finale è molto elevata, in particolare per un effetto di tipo incrementale rispetto alla performance ottenuta alla conclusione del percorso di primo livello (nel 2020 l’incremento medio del voto di laurea alla magistrale rispetto alla laurea di primo livello è di 7,6 punti su 110).

Tirocinio ed estero gli assi nella manica

Fare un’esperienza di tirocinio formativo e di orientamento svolta e riconosciuta dal corso di laurea o un’esperienza di studio all’estero sono carte vincenti da giocare sul mercato del lavoro: a parità di condizioni, infatti, chi ha svolto un tirocinio curriculare ha il 12,2% di probabilità di essere occupato a un anno dal conseguimento del titolo rispetto a chi non ha svolto tale tipo di attività, mentre chi ha svolto un periodo di studio all’estero ha maggiori probabilità di essere occupato rispetto a chi non ha mai svolto un soggiorno all’estero, sia che si tratti di esperienze riconosciute dal proprio corso di laurea (+14,4%), sia di esperienze su iniziativa personale (+10,3%).

I laureati arrivano dal liceo scientifico

Qual è il background formativo dei laureati del 2020? C’è una prevalenza dei diplomi liceali (75,4%) e in particolare del diploma scientifico (41,3%) e classico (14,7%). Segue, con il 19,5%, il diploma tecnico, mentre risulta residuale l’incidenza dei diplomi professionali (2,4%). La quota di laureati con un diploma liceale negli ultimi dieci anni è aumentata considerevolmente, passando dal 68,9% del 2010 al 75,4% del 2020 (+6,5 punti percentuali), in particolare a scapito dei laureati con diploma tecnico, che scendono dal 25,8% al 19,5%. In termini di composizione per tipo di diploma si osservano differenze contenute tra i laureati di primo livello e quelli magistrali biennali (i diplomati liceali sono rispettivamente il 72,6% e il 75,1%), mentre i laureati a ciclo unico si caratterizzano per una forte incidenza dei titoli liceali: l’89,8% ha infatti una formazione liceale, in particolare scientifica (48,6%) e classica (28,6%).

Pesa il contesto familiare

Il contesto familiare incide sulle scelte universitarie dei giovani. I laureati AlmaLaurea 2020 provengono per il 31,6% e per il 22,5% da famiglie della classe media, rispettivamente impiegatizia e autonoma, per il 22,4% da famiglie di più elevata estrazione sociale (ove i genitori sono imprenditori, liberi professionisti e dirigenti) e per il 21,9% da famiglie in cui i genitori svolgono professioni esecutive (operai e impiegati esecutivi). La percentuale dei laureati di più elevata estrazione sociale sale al 33,3% fra i laureati magistrali a ciclo unico, percorso di studio che, com’è noto, comporta una previsione di investimento di durata maggiore rispetto alle lauree di primo livello, investimento che spesso proseguirà con ulteriori corsi di specializzazione. I laureati con almeno un genitore in possesso di un titolo universitario sono il 30,7% (nel 2010 erano il 26,5%). Il contesto culturale e sociale della famiglia influisce anche sulla scelta del corso di laurea: i laureati provenienti da famiglie con livelli di istruzione più elevati hanno scelto più frequentemente corsi di laurea magistrale a ciclo unico (il 44,2% ha almeno un genitore laureato) rispetto ai laureati che hanno optato per un percorso ‘3+2’ (27,6% per i laureati di primo livello e 31,4% per i magistrali biennali).

Aumentano i laureati con cittadinanza estera

La quota di laureati di cittadinanza estera è del 3,9%. E risulta in lieve aumento: secondo i dati AlmaLaurea era pari al 2,9% nel 2010. Si tratta in misura crescente di giovani che provengono da famiglie immigrate e residenti in Italia: ben il 41,1% dei laureati di cittadinanza non italiana ha conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado nel nostro Paese: tale quota era il 28,2% nel 2011.

Invece, la quota di cittadini stranieri in possesso di un diploma all’estero, verosimilmente la fascia di popolazione che si è trasferita in Italia al momento della scelta universitaria, è il 2,3% dell’intera popolazione indagata, percentuale pressochè stabile negli ultimi anni. Il valore sale al 4,8% tra i magistrali biennali e si contrae fino all’1,3% tra i magistrali a ciclo unico e all’1,2% tra quelli di primo livello. Per quanto riguarda la provenienza, mentre nel complesso dei cittadini stranieri, compresi i diplomati in Italia, quasi la metà proviene dall’Europa (in particolare da Romania e Albania, rispettivamente l’11,6% e il 9,7%), nel gruppo di laureati stranieri che hanno conseguito il diploma all’estero scende la quota di chi proviene dall’Europa (35,2%) e lo Stato più rappresentato è, con il 10,9%, la Cina. I laureati stranieri che hanno conseguito il diploma all’estero si indirizzano verso specifici ambiti disciplinari, quali architettura e ingegneria civile (4,1%), oltre che informatica e tecnologie ICT (4,0%); all’opposto, in tre gruppi disciplinari (educazione e formazione, giuridico e, infine, scienze motorie e sportive) i laureati esteri con diploma conseguito all’estero sono meno dell’1,0%. (AGI)

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