Il tiki taka degli svizzeri è una mostra d’arte dada. Sciachiri, Ciaka, Acangi, Embolo si sentono spazzole su batteria jazz per il suono vellutato ritmico dei Blue Rondò a la Turk. Giocano soprattutto in Germania (in 4), ma anche in Portogallo, UK, Italia, Croazia e nell’Atalanta; mai in Svizzera, che i gioielli li esporta. Riparte il dada, Ciakacangisciachiri, zingari teutonici, quasi tutti partiti dalla Svizzera tedesca, di origine albanese, kossovara, croata, bosniaca, ma anche camerunese, nigeriana, cilena e dominicana.
L’unico del cantone francese è il portiere, svizzerissimo come Zuber autoctono è l’ala massiccia che galoppa frenetica con una scriminatura perfetta lucidata alla brillantina da messicano elegante d’altri tempi. Lancia i Seferović Gavranović, dai cognomi kazachi venuti dalla svizzera italiana. Si chiamano surrealisticamente Haris, Xherdan, Granit ma anche Remo e Mario.Non può guidarli che Petković, un pezzo d’uomo, dritto come un ufficiale austroungarico d’altri tempi con dignitosissima chioma bianca, non a caso, nato a Sarajevo; tre passaporti, sei lingue, il Dottore è tanto tollerante da preparare i suoi in un ritiro zeppo di parrucchieri che hanno fatto della Svizzera la nazionale più colorata, più bionda e più truccata dell’europeo. Questa nazionale arcobaleno non si inginocchia però sua sponte, ma solo per cortesia all’avversario, tanto per non smentire la fama di ospitalità degli svizzeri. Con i fratelli che militano in altre nazionali, demoliscono la retorica nazionalista e la dignità degli inni nazionali. Non solo, anche la competenza di Travaglio che il 24 giugno u. s. sulla Svizzera si era così pronunciato, Finora abbiamo incontrato avversari da oratorio.
Anche l’Atalanta è una nazionale di 9 giocatori, sparsa tra Russia, Ucraina, Danimarca, Germania, Olanda, Svizzera,Italia, Croazia. In cinque hanno segnato finora ad euro 2020 (Miranchuk, Gosens, Pessina, Maehle e Pasalic). Abitualmente i giocatori vengono selezionati dai campionati nazionali per le rispettive nazionali; con l’Atalanta non funziona così, a parte il latinista, gli orobici nei diversi paesi europei ed in Brasile non li conoscevano prima del workout di Gasperini; li hanno selezionati direttamente da Bergamo. Non giocano in nazionali inginocchiate, ma personalmente lo fanno almeno Toloi e Pessina che assieme a Emerson, Palmieri, Bernardeschi e Belotti sono gli unici azzurri che finora hanno flesso il ginocchio. Sono ben 5 gli atalantini sbarcati ai quarti con le loro nazionali (Toloi, Pessina, Malinovskyi, Maehle, Freuler). Senza scordarsi di de Roon.
La Svizzera (16esima nel ranking FIFA) ha preso 3 pappine dall’Italia; la Repubblica Ceca (40esima) invece a Bologna ne ha prese 4. Arrivate rocambolescamente agli ottavi da terze dei gironi, sono entrambe ai quarti, dopo aver eliminato Francia ed Olanda, finora a punteggio pieno. I cechi, al contrario degli svizzeri giocano in gran parte nel proprio paese; oppure a Brescia, a Bristol, al meglio a Genova e Siviglia. Silhavy, il CT iperautoctono ceco ha già eguagliato il miglior risultato mai ottenuto dai suoi in un europeo ed ora può sognare di battere la Danimarca. Schick che tanto deluse a Roma e che ora gioca in Germania, non solo ha fatto 4 goal totali, ma ha fatto sognare con un tiro da 40 metri finito nella rete scozzese che ha risvegliato nella memoria l’analoga prodezza di Maradona segnata al Verona nell’85, con gol dal volto sanguinante ed esultante, con la demolizione del campione olandese de Ligt, costretto ad un fallo da espulsione. Il giovane campione della difesa si aggiunge ora agli altri juventini celebri fuori dagli europei, Rabiot, Kulusevski e Ronaldo.
A questo punto, fuori Francia, Portogallo, Olanda, Croazia e Germania, la legacy storica con Italia, Inghilterra e Spagna, conta tre squadre contro ben 5 new trolls; una frotta di minores, un po’ annunciata, in gran parte sorprendente, dal Belgio alla Svizzera, dalla Cechia alla Danimarca ed all’Ucraina. Solo i danesi hanno vinto qualcosa (l’europeo’92). Gli altri niente, al massimo secondi e terzi tra europei e mondiali, oppure mai oltre ottavi e quarti di finale. Tra di loro non si inginocchiano Ucraina, Cechia, Danimarca (che però applaude) con la Spagna e Svezia, come anche Croazia, Russia, Macedonia del Nord, Polonia, Slovacchia e Turchia. E’ la stessa frattura che si riscontra seriamente sulla legge ungherese antigay, attaccata da 17 membri occidentali dell’UE ma difesa dall’esteuropa (Croazia, Polonia, Cechia, Slovacchia, Romania, Slovenia, Bulgaria (il presidente boemo Zeman fra l’altro ha definito disgustosi trav e trans).
Fatto sta che si è giocato tanto a Budapest, alla Puskás Aréna dove le leggi locali hanno permesso il 100% di pubblico, 65mila persone senza mascherina, e, tra questi, 60mila tifosi ungheresi. E subito la nazionale magiara del torinista Rossi è finita sotto indagine Uefa, vuoi per i cori (Mbappe e Benzema definiti scimmie) vuoi per insulti omofobi contro il Portogallo. Il combattimento tra Orban, von Leyen e PPE si è materializzato in cortei, cori e striscioni anche contro il kneeling. In contrasto l’inglese Kane ha giocato con una banda arcobaleno al braccio, il tedesco ha esultato con il cuore Perugina, mentre il sindaco di Monaco ha arcobalenizzato la città bavarese non potendolo fare con lo stadio (dove ha comunque fatto girare 10mila bandiere rainbow) per esplicito divieto dell’Uefa che è organizzazione neutrale, avulsa alle richieste politiche.
Qui le cose si sono confuse. L’arcobaleno è simbolo gay e affini; l’inginocchiamento del Black Lives Matter è simbolo dell’antirazzismo, in particolare a difesa dei neri. Le nazionali di Francia e Olanda, quasi tutte costituite da neri, non si inginocchiano (probabilmente in quanto vittime). Il Belgio lo fa ed ha inventato anche l’esultanza antirazzista. Inghilterra e Galles, quasi tutte bianche, fanno il kneeling; i tedeschi hanno imitato gli inglesi. Finlandia, Svizzera e Scozia, Austria, Portogallo sono propense in via di principio. Gli italiani vanno in ordine sparso secondo convinzione personale. Sono osservati speciali, però; non schierano, dopo l’esempio di Balotelli, neanche un giocatore di colore; e questo li rende sospetti.
Comunque gaypride e kneeling non hanno affinità, né di storia, né di principio. E’ un’osmosi per contiguità politica. A facilitare le cose sono stati ungheresi e amici che rifiutano rumorosamente l’uno e l’altro. La nazionale guidata da Rossi, innamorato dei miti Honved e Puskas, non ne ha risentito, anzi. Ha retto ai portoghesi per 80 minuti, è andata in vantaggio, pareggiando, con francesi e tedeschi. Ha rischiato di mandare a casa anzitempo gli odiati omosessuali germanici; tutto senza neanche un giocatore vip, capace di portarsi la squadra sule spalle. Alle domande sulla sua assenza, il trainer piemontese ha parlato della stampa come la madre degli idioti sempre incinta ed ha raccontato di un’Ungheria tollerante. In fondo si litiga su cosa insegnare durante le lezioni ai bambini delle elementari. L’attenzione su Budapest ha diluito i tentativi di propaganda nazionalista antirussa dell’Ucraina, che fra l’altro si è trovata in un derby razzista antimoscovita, dati i sentimenti condivisi delle due nazionali gialloblu svedese e ucraina. Non tutti i razzismi hanno lo stesso peso.
I magiari sono rientrati a casa nel tripudio in un clima di scorrettezza politica e sanitaria. Il trainer degli Oranje, de Boer, invece, è già stato esonerato, accusato di stupidità, tra commentatori che hanno definito gli avversari, calciatori mediocri. Griezmann, Kanté, Varane, Benzema ma soprattutto Pogba sono anch’essi rientrati senza tanta voglia di balletti di autoesaltazione. Solo l’inascoltato (dai suoi giocatori) allenatore bleu Deschampes ha chiamato gli elvetici grandi. Mbappé, rimasto a rete asciutta, si sentirà come Baggio dopo il rigore sbagliato al Brasile. Non ne vorrà più sentire degli inginocchiamenti che tanta sfortuna gli hanno procurato. Non vorrà neanche vedere le fries, che dovevano essere la consolazione dei belga.
L’africa francofona che nel ’18 aveva dominato i mondiali con più di 20 giocatori neri, tra cui 8 congolesi, lascia spazio a gnomi balcanici, variaghi, boemi, vikinghi, ai miti di un’Europa misconosciuta. Kantè che risolve problemi non c’è più. Obtorto collo, al politicamente corretto non resta che tifare per l’Italia dell’allenatore modello, quasi uno stilista.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.